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After Work, in un film l’ossessione globale per il lavoro

Tristi tempi. Una volta i “mondo movie” dragavano sesso e orrori per colpire sotto la cintura (nessun rimpianto, per carità). Oggi l’italo-svedese Erik Gandini, già autore fra l’altro di un film su Berlusconi e sugli effetti più nefasti delle sue tv, “Videocracy”, batte l’Italia e il Kuwait, gli Usa e la Corea del Sud, chiedendosi perché il mondo intero è ossessionato dal lavoro, in un senso o nell’altro, e se il futuro ci libererà da questa ossessione. Inaugurando un’era in cui il lavoro non sarà più il perno economico, quando non interiore, delle nostre vite.

Vasto progetto. Più che un docu ritmato e ribaldo, zeppo di esistenze e personaggi al limite, ci voleva forse una serie capace di approfondire, contraddire, collegare in un disegno ancora più sfaccettato i dati e le suggestioni che sfilano con palese malizia.

Perché in Corea del Sud il ministro del Lavoro è costretto a lanciare una campagna promozionale per convincere i cittadini a sgobbare meno? Come mai gli Usa, monumento al calvinismo, bruciano ogni anno 578 milioni di giorni di ferie non godute, mentre nel Kuwait arricchito dal petrolio si usano 20 salariati per fare il lavoro di una persona e ogni famiglia ha in media due collaboratori domestici, naturalmente immigrati? E ancora: cosa penseranno del lavoro, e del reddito di cittadinanza, gli esponenti (italiani stavolta) degli strati più privilegiati?

Ovviamente il lavoro, come la ricchezza, è il luogo delle diseguaglianze più estreme. In ogni senso. C’è chi lo fa con passione e gratificazione (il 15 per cento degli individui secondo la Gallup) e chi lo vive passivamente o addirittura detesta e boicotta più o meno attivamente la propria occupazione (il restante 85 per cento, sempre dati Gallup). Per non parlare di chi un lavoro, qualsiasi lavoro, se lo sogna. Anche se Gandini, registrate velocemente parole e opinioni di alcuni grandi nomi (Yuval Noah Harari, Noam Chomsky, Elon Musk, Luca Ricolfi, Yanis Varoufakis), insinua un dubbio. Magari la religione del lavoro ha fatto il suo tempo.

Forse il reddito universale (una necessità, sentenzia Elon Musk) ci libererà da questo fardello e potremo goderci il tempo libero. Anche se Harari ammonisce: presto l’irrilevanza sarà peggio dello sfruttamento. Per non parlare di quei giovani gaudenti in spiaggia, non una gran pubblicità al nuovo mondo.

Così, più che le idee restano le immagini. La dipendente Amazon e le 5 videocamere nel furgone che monitorano ogni suo istante. L’inserviente (immigrato) che lustra il pavimento del centro commerciale a effetto acquario in Kuwait. L’italiano nato ricco anzi ricchissimo che cura e pota il suo giardino. Un labirinto, guarda un po’.

After Work
di Erik Gandini

Svezia–Italia–Svizzera, 77’

Fabio Ferzetti, espresso.repubblica.it (21/06/2023)

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After Work cerca di immaginare un mondo senza lavoro

Il 55 per cento dei lavoratori americani nel 2018 ha volontariamente rinunciato a parecchi giorni di ferie pagate cui avrebbe avuto diritto. Perdendole perché non sono trasferibili da un anno all’altro.

Il dato viene da uno studio condotto dal Project Time Off della US Travel Association, secondo cui in quel solo anno sono rimasti inutilizzati 768 milioni di giorni di vacanza. Corrispondenti a circa di 65 miliardi di dollari di mancati benefici, una media di 571 dollari per dipendente.

Nella Corea del Sud Il ministro del lavoro Kim Joung Joo ha lanciato una campagna per convincere le persone a ridurre il super lavoro.

Tra gli effetti collaterali delle 14 ore al giorno che molti passano in ufficio: un’epidemia di tumori allo stomaco, e un alto tasso di suicidi. “Le famiglie sono a pezzi, l’infelicità dilaga”, dice il ministro.

Per costringere i dipendenti a tornarsene a casa prima di notte, hanno persino introdotto un sistema automatico di spegnimento dei computer alle 18. Un’iniziativa che hanno chiamato “Diritto al riposo” e che ha portato alla riduzione delle ore settimanali da 68 a un massimo di 52.

Inizia così il documentario After Work, in uscita al cinema il 15 giugno. Che racconta il paradosso di una società – per lo meno quella cosiddetta occidentale – che dopo aver messo per decenni l’etica del lavoro al centro dell’identità collettiva e individuale si trova oggi ad affrontare la “morte” di centinaia di milioni di posti di lavoro.

Il regista è l’italo-svedese Erik Gandini, autore e produttore di diversi documentari tra cui Videocracy che venne presentato alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2009.

Già dieci anni fa , due ricercatori di Oxford nel loro studio The Future of Employment (Il futuro dell’occupazione), avevano predetto che l’Intelligenza artificiale avrebbe portato alla fine di molte professioni nell’arco di un ventennio.

Previsione più che azzeccata, il che significa anche che nell’arco di 10 anni al massimo, il 47 per cento dei lavoratori americani sarà sostituito da “macchine” più efficienti di loro che, una volta sviluppate, avranno anche il vantaggio di non costare nulla.

Gli addetti al telemarketing verranno rimpiazzati da chat bot nel 99 per cento dei casi. Il 97 per cento dei cassieri verrà sostituito da sistemi di automatici di pagamento e a rischio sono anche i driver. Per loro le previsioni parlano di un taglio dell’89 per cento.

Come consentire a tutte queste persone di continuare a vivere dignitosamente una volte che avranno perso il posto di lavoro?

Una delle soluzioni possibili di cui si discute da tempo è quella del reddito di base universale: da un minimo di 1000 euro, o di più a seconda del costo della vita del Paese in cui si vive, per non fare nulla.

Ma, a prescindere dalla sostenibilità economica, un sistema del genere servirebbe a rendere le persone felici, soddisfatte della loro vita? Con un sistema di valori come quello attuale probabilmente no. Come sintetizza efficacemente lo storico israeliano Yuval Noah Harari: “Essere irrilevanti è peggio che essere sfruttati”.

E qui arriviamo a un altro paradosso del mondo contemporaneo: se da un lato c’è chi volontariamente lavora troppo – vedi gli americani e i sud coreani di cui sopra– c’è chi, invece, è costretto ad accettare condizioni e orari disumani giusto per sopravvivere: sono i migranti ridotti a una condizione di semi-schiavitù.

After Work dedica anche un capitolo specifico all’Italia. Il nostro Paese, infatti, ha una peculiarità. Si tratta del fenomeno dei NEET (Neither in Employment, Education or Training, coloro che non lavorano, non studiano, non fanno formazione) di cui deteniamo il primato in Europa, con il 28,9 per cento degli italiani tra i 20 e i 34 anni che si astengono da tutti e tre gli impegni di cui sopra, contro la media del 16,5 di tutti gli altri Stati membri dell’Unione.

After Work si sofferma, inoltre, sul caso particolare del Kuwait. Lo Stato, grazie alla sue enormi ricchezze, garantisce a un gran numero di cittadini impieghi pubblici di facciata.

In sostanza, non ci sono mansioni da svolgere e nessun rischio di essere licenziati (Secondo l’OMS, il Kuwait è il Paese più fisicamente inattivo del mondo, anche se tutti hanno un impiego e sono ben retribuiti). Una sorta di esperimento di reddito di base universale con la differenza che implica l’adeguamento a una forma di lavoro almeno “simulato’’.

Potrebbe essere questa la soluzione quando saremo diventati inutili?

A essere onesti, il documentario non sembra lasciare molte speranze neppure in tal senso.

Enrica Brocardo, wired.it (15/06/2023)

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After Work e l’interrogativo del film: e se un giorno non fosse più necessario lavorare?

Èplausibile un futuro senza lavoro? Erik Gandini, il regista italo-svedese di Videocracy (ve lo ricordate? Era il 2009), firma il documentario After Work (presentato in anteprima al Biografilm Festival di Bologna e nelle sale dal 15 giugno)  affronta proprio il tema del lavoro, oggi e in un possibile futuro in cui l’automazione e l’intelligenza artificiale saranno realtà consolidate.

Una ricerca stima che nei prossimi vent’anni molti lavori spariranno, come gli addetti al telemarketing e gli assicuratori. Nel 2033 i cassieri potrebbero essere sostituiti da macchine, così come gli autisti. Se così fosse occorre ripensare al ruolo del lavoro, che potrebbe non essere più l’elemento centrale della nostra vita. Che società sarebbe? Esisterebbe un salario minimo universale? Elon Musk si domanda: «Se le persone non trovano modo di sentirsi utili come faranno?».

«Facciamo fatica a immaginarci alternativa al lavoro perché il lavoro è insito in noi, è come l’aria», afferma Gandini, «l’idea di After Work è nata dalla necessità di parlare di lavoro come qualcosa da cui facciamo fatica ad allontanarci. Ho cercato esperienze di vita vera per raccontare ciò che sta accadendo e quello che potrebbe accadere».

Il regista ci conduce in Corea del Sud, dove si muore per eccesso di lavoro: l’ultima direttiva del governo garantisce che i computer vengano spenti automaticamente alle 18 in tutti gli uffici, inoltre le campagne pubblicitarie puntano sul “diritto al riposo”. Negli Stati Uniti il 55% degli americani hanno dichiarato di non sfruttare i giorni di ferie nel corso dell’anno (e sono pochissimi rispetto ai nostri), mentre in Kuwait accade il contrario: secondo l’OMS è il Paese più fisicamente inattivo del mondo, anche se tutti hanno un impiego e sono ben retribuiti (grazie alla presenza del petrolio). C’è anche l’Italia tra i super-ricchi che non lavorano e i cosiddetti NEET (Neither in Employment, Education or Training), il più largo gruppo di nullafacenti in Europa di età compresa tra i 20 e i 34 anni.

«Grazie alla tecnologia dobbiamo ridefinire che cosa significa “darsi da fare”», spiega Erik Gandini, «la svolta del Kuwait è la più inquietante, lì ci sono persone depresse e frustriate perché non comprendono quale sia il senso della vita. L’etica del lavoro è vecchia di 350 anni ed era un’idea perfetta, ora questa idea è incompatibile col presente e il futuro». Per molte categorie il lavoro è una forma di «schiavismo modernizzato»: nel film c’è l’esempio di un’autista di Amazon che in auto viene controllata da cinque telecamere.

«Forse la risposta è nelle parole dello studioso Kevin Kelly», dice il regista: «Le macchine sono per risponderegli esseri umani per domandare».

Emanuele Bigi, vanityfair.it (13/06/2023)

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After Work, vivere senza lavoro: un altro mondo è possibile

“Liberiamoci della società del superlavoro”. Una pubblicità per convincere la gente a smettere di lavorare. Una legge, la “pc off”, che impone di spegnere i computer negli uffici alle 18:00 in punto, per impedire fisicamente agli impiegati di operare oltre gli orari stabiliti. Succede in Corea del Sud, dove il lavoro – specialmente per chi ha più di cinquant’anni – è uno status. Di più: una condizione esistenziale, un’ossessione. Un modo per dire al mondo che il tempo della miseria è finito.
La Corea del Sud e il rapporto dei coreani con il lavoro è solo uno degli aspetti – e dei mondi – esplorati in After Work dell’italo svedese Erik Gandini (La teoria svedese dell’amoreThe Rebel SurgeonVideocracySurplus), in sala in Italia dal 15 giugno con Fandango.
Un documentario prodotto da Fasad Production AB con Propaganda Italia, RAI Cinema e Indie film, che viaggia attraverso quattro paesi – Corea, Kuwait, Stati Uniti e l’Italia –  guidato da una sola domanda: come sarebbe la nostra vita, se ci liberassimo del lavoro?

“Ho voluto pensare al lavoro come un’idea, più che una necessità. Qualcosa che sta perdendo senso rispetto a 350 anni fa, all’epoca della rivoluzione industriale – spiega Gandini – Credo che sia arrivato il momento di ripensarlo. Completamente”.

Le macchine al posto dell’uomo

Liberarsi del lavoro: un’ipotesi meno utopica di quanto si creda, a voler dar retta ai profeti dell’avanzamento tecnologico. Secondo la ricerca The Future of Employment (Il futuro dell’occupazione), pubblicata nel 2013 dall’Università di Oxford, il 47% dei lavori statunitensi sarebbe ad alto rischio. La probabilità che nei prossimi vent’anni gli addetti al telemarketing e i sottoscrittori di assicurazioni perdano il lavoro a favore degli algoritmi è del 99%.  Del 97% per i cassieri. Del l’89%, scrivono i ricercatori, per gli autisti di autobus. Senza contare i lavori creativi: “Quando abbiamo iniziato a immaginare il documentario, nel 2020, Chat GPT non c’era – dice Gandini – Pensavamo che la rivoluzione sarebbe cominciata con l’automazione. Invece i primi a scomparire saranno proprio i lavori creativi”.
In potenza, secondo il filosofo americano Noam Chomsky, la rivoluzione tecnologica è una liberazione: “La tecnologia ci deve liberare del lavoro. Può funzionare, a patto di usarla per affrancare le persone da lavori stupidi e permettergli di dedicarsi a qualcosa di creativo”. In pratica, secondo lo storico israeliano Yuvai Harari, è una condanna:  “La battaglia che ci aspetta, quella da combattere, sarà contro l’irrilevanza. Peggio essere irrilevanti che sfruttati”.

E allora: che faremo, quando non avremo più bisogno di lavorare?

Il Kuwait: il lavoro, ma per finta

In Kuwait, tecnicamente, oggi il lavoro potrebbe non servire più. In effetti, secondo l’OMS, il Kuwait è il paese più fisicamente inattivo del mondo, anche se tutti hanno un impiego: il sistema di distribuzione delle ricchezze petrolifere funziona come un reddito di cittadinanza di base, ma con un impegno lavorativo ’’simulato’’. Il risultato? Nei ministeri, dove venti persone sono chiamate a svolgere il lavoro di una sola, i dipendenti giacciono in una sorta di “parcheggio per lavoratori”, passando il tempo, semplicemente, sprecandolo.

Una inattività forzata che produce frustrazione, depressione, desideri autodistruttivi. “Speravo di trovare qualcosa di positivo lì, perché il Kuwait è un paese che ha tutte le opportunità per liberare le persone dalla necessità del lavoro – dice Gandini – Ma l’idea di fare a meno del lavoro è talmente forte che fa paura liberarsene. Piuttosto si preferisce far finta di lavorare, come se andare al lavoro fosse una specie di performance. Ed è tristissimo”.

Gli Stati Uniti: No Vacation Nation

Il viaggio negli Stati Uniti, terra di stakanovismo performativo per eccellenza, ci riporta a una società in cui l’85% delle persone, racconta After Work, “non hanno lavoro o ne sono profondamente insoddisfatti”. Il valore da salvaguardare, qui, è quello dell’efficienza: “Adolf Hitler? Un modello di efficienza perfetta”, ammette, dopo un istante di titubanza, un dirigente della società di analisi e consulenza Gallup. Secondo uno studio condotto dal Project Time Off della US Travel Association, nel 2018 i lavoratori americani hanno lasciato sul tavolo 768 milioni di giorni di vacanza non utilizzati: più della metà dei lavoratori non ha utilizzato tutti i giorni di ferie nel 2018, e il 24% ha dichiarato di non averne usufruito affatto. “Gli americani hanno un rapporto unico con il lavoro – spiega Gandini – Il concetto di sogno americano è stato a lungo associato all’idea di lavorare sodo e raggiungere il successo”. Successo che si paga ad alto prezzo prezzo: l’infelicità di una “no vacation nation”, un paese in cui la vacanza è un fallimento.

Il non lavoro in Italia e l’edonismo NEET

E in Italia? l’attenzione di Gandini si concentra inizialmente su un piccolo gruppo di persone iper-ricche,  appartenenti a dinastie imprenditoriali industriali che hanno vissuto per diverse generazioni senza dover lavorare. “Volevo sfidare il cliché del ricco. L’ereditiera che racconto nel film conduce un’esistenza libera dal lavoro. Il confronto con la Corea, dove le persone devono essere aiutate dalla pubblicità a immaginarsi senza lavoro, è potente: questa donna si sveglia ogni giorno chiedendosi cosa voglia fare, allenandosi alla creatività”. Un aspetto che rende l’Italia ancora più interessante è il fatto che non siano sono solo i super-ricchi a non lavorare: all’interno della classe media italiana si trova il più grande gruppo di “NEET” (Neither in Employment, Education or Training) in Europa, il 28,9% degli italiani tra i 20 e i 34 anni (la media europea è del 16,5%). “Nel dibattito pubblico il fenomeno dei NEET, i ragazzi ‘inattivi’, si racconta facilmente come una catastrofe, con l’indignazione per il nullafacente, ‘lo sdraiato’. Ma a me piace capovolgere il discorso e provocare con un’idea politicamente scorretta: se stiamo cercando alternative creative all’etica del lavoro statunitense e coreana, diventa interessante anche una società come l’Italia, dove esiste una cultura del non lavoro. Forse abbiamo qualcosa da imparare anche da qui: da chi, per scelta, non fa nulla”.

Ilaria Ravarino, hollywoodreporter.it (01/05/2023)

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Vivere senza lavorare grazie ad IA e reddito di base: la visione del futuro di After Work

Vivere senza lavorare è il sogno di (quasi) tutti: la possibilità di avere tempo libero per la famiglia, gli amici, gli hobby. Tutti abbiamo, almeno una volta nella vita, fantasticato della possibilità di non dover lavorare. Anche se poi, ad un’analisi approfondita, quanti si stuferebbero presto di non avere l’impegno fisso quotidiano dell’ufficio?

Molti, sicuramente. Basta fare un raffronto con una realtà che abbiamo ogni giorno davanti agli occhi: quella dei pensionati depressi.

Eppure, dopo una vita di sacrifici, davvero si può vivere senza lavorare, soprattutto di questi tempi in cui solitamente l’età della pensione coincide con un’età biologica ancora idonea alla svolgimento di molte attività, dallo sport leggero ai viaggi.

Non esiste più il lunedì, è sempre week end, ma non si riesce ad essere felici. Perché forse il piacere è bello gustarlo dopo averlo ottenuto con sacrifici.

Sacrifici che, forse, in un futuro neanche troppo lontano, non dovremo più fare.

After Work, il documentario visionario che immagina un mondo senza lavoro

Sareste quindi felici di vivere senza lavorare? Avendo ovviamente i soldi di uno stipendio.

Il documentario Art Work sonda proprio questa ipotesi con l’obiettivo, come dice il regista Erik Gandini, non di offrire delle soluzioni, ma di porre l’attenzione sugli aspetti disfunzionali di un’ideologia lavorista comune a società con modelli di sviluppo molto diversi.

La necessità di sacrificarsi per il lavoro è innata nella nostra natura o è semplicemente il risultato dei costrutti sociali che si sono creati, universalmente, con lo sviluppo economico e industriale?

Prodotto in collaborazione da Rai Cinema, Fasad e Propaganda Italia e distribuito a partire dal 15 giugno, After Work stimola la riflessione sulle potenzialità dell’Intelligenza Artificiale e sulle conseguenze di una sua applicazione tout court.

Abbiamo già visto come Chatgpt sia in grado di sostituire l’essere umano per alcune mansioni lavorative. Se spostiamo lo sguardo a qualche anno più avanti, non è difficile immaginare una IA che avrà sostituito la maggior parte dei lavoratori.

After Work delinea un’umanità libera dal vincolo lavorativo, il cui sostentamento non è ovviamente garantito dal classico stipendio, ma da un reddito di base universale.

Grazie ad esso l’umanità, senza il giogo della catena produttiva, sarà in grado di elevarsi socialmente e culturalmente, dedicandosi alla cura del proprio benessere psicofisico, con la possibilità di scoprire e sviluppare tutto il suo potenziale creativo?

Una vita senza lavoro: meglio o peggio?

La domanda che Gandini pone ai suoi intervistati è, in sintesi: “Come impiegheresti il tuo tempo se non dovessi più lavorare, continuando però a percepire lo stipendio?”.

Le risposte restano elusive, incerte: forse non siamo ancora pronti ad abbandonare una consuetudine estremamente radicata nel nostro concetto di esistenza?

Magari non i cosiddetti boomer o i rappresentanti della Generazione X, ma i più giovani, già invisi al posto fisso e più devoti al concetto di libertà che a quello di sacrificio, sono quelli che meglio accoglieranno (e sapranno sfruttare) tutte le nuove possibilità e potenzialità che una IA evoluta è in grado di offrire.

Alessandro Annunziata, investireoggi.it (23/05/2023)

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After Work: come sarà il mondo senza il lavoro, tra AI e reddito di base universale

Fuori campo, una voce roca e stanca mette in guardia: «Nel mondo di oggi, il consiglio migliore da dare a un giovane è prepararsi a trovare un lavoro. Prepararsi a passare la propria esistenza alla mercé di un padrone». Il vecchio saggio è Noam Chomsky, 94 anni, tra gli intellettuali più influenti di questo e dello scorso secolo. Per il resto, di indicazioni o suggerimenti nel nuovo documentario di Erik Gandini non ce ne sono. In After Work il regista italo-svedese – già autore, tra l’altro, di Videocracy e Surplus – offre lo spaccato di una società moderna imperniata sul concetto di lavoro salariato, e si interroga sul futuro di un’umanità potenzialmente libera da questo vincolo. «Il film nasce non per offrire soluzioni», spiega Gandini, «ma per dar risalto agli aspetti più disfunzionali di un’ideologia lavorista in cui tutti noi siamo immersi sin dall’infanzia, pur appartenendo a società con modelli di sviluppo molto lontani tra loro».

Tutto il mondo è paese?

Nel 2018 i lavoratori americani hanno rinunciato a 768 milioni di giorni di ferie cui avevano diritto. È la «No Vacation Nation». La cultura del superlavoro su cui si regge lo stesso sogno americano. In Corea del Sud da anni il ministero del Lavoro osserva con estrema preoccupazione il fenomeno della Gwarosa, la «morte per eccesso di lavoro». La settimana lavorativa è stata ridotta da 68 a 52 ore e il governo ha progettato un’accurata campagna pubblicitaria per promuovere stili di vita alternativi, invitando i lavoratori a non rimanere in ufficio oltre l’orario stabilito.
Il Kuwait, appena 4 milioni di abitanti e un’economia trainata da ricchi giacimenti petroliferi, vive invece un problema opposto. Qui il settore pubblico garantisce piena occupazione, ma la manodopera disponibile è spropositata rispetto alla mole di lavoro richiesta. Tutti hanno un impiego ben retribuito, ma il patto sociale si regge su una farsa interpretata da uomini e donne che spendono il proprio tempo ingabbiati in un perpetuo senso di inutilità.
Infine l’Italia, dove il tema del lavoro viene osservato con gli occhi di ricchissimi ereditieri, che hanno sempre vissuto di rendita. Ma anche dal lato di una classe media in cui si annida il più grande gruppo di Neet in Europa (giovani che non lavorano, non studiano e non si formano).

La tecnologia non ha volontà

Prodotto da Fasad e Propaganda Italia insieme a Rai Cinema, After Work sarà distribuito da Fandango a partire dal prossimo 15 giugno e promette di inserirsi in un dibattito quanto mai attuale e partecipato. Lo sconvolgente sviluppo dell’intelligenza artificiale potrebbe portare la maggior parte dei lavori esistenti oggi a scomparire tra qualche anno. Cosa fare, dunque, quando un’intera classe sociale si ritroverà ad essere, per così dire, «non occupabile» e priva anche della minima forza politica collettiva? La tecnologia non è dotata di volontà, sottolinea Chomsky, questa volta a favore di telecamera. Il suo impatto sulla società dipende e dipenderà strettamente dagli interessi di chi la controlla.
Può l’introduzione di un «reddito di base universale» cambiare lo stato delle cose e liberare, finalmente, il potenziale creativo di persone non più costrette a lavorare per sopravvivere? Come impiegheremmo il nostro tempo se da domani non dovessimo più preoccuparci di guadagnare lo stipendio? Gandini pone la domanda ai suoi intervistati rivolgendosi, metaforicamente, a tutti gli spettatori.
C’è silenzio, le risposte sono vaghe e incerte. Qualcuno sorride spaesato.

Nicola Bracci, corriere.it (23/05/2023)

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After Work: in anteprima esclusiva il poster del documentario di Erik Gandini

Nel 2009 con Videocracy Erik Gandini ci mostrava la nefasta influenza della televisione commerciale sulle nostre vite, con la sua enfasi sull’avere e l’apparire che ha condizionato i comportamenti degli italiani fino al degrado civile e morale attuale. Oggi il regista torna al cinema con un nuovo film, After Work, che si concentra sull’importanza data al lavoro e alla competitività nella società di oggi e si pone interessanti domande sullo sviluppo futuro in questo campo. Il film è prodotto dalla svedese Fasab e coprodotto da Propaganda Italia e Rai Cinema e arriverà al cinema il 15 giugno distribuito da Fandango e vi mostriamo in anteprima esclusiva l’evocativo e affascinante poster ufficiale.

After Work: di cosa parla il nuovo film di Erik Gandini

La nostra è una società basata sul lavoro. Fin dall’infanzia ci viene insegnato ad essere orientati al risultato e ad essere competitivi. La maggior parte dei lavori esistenti oggi potrebbe scomparire nei prossimi anni per via dell’automazione e dell’intelligenza artificiale. Potremmo presto dover ripensare al ruolo che il lavoro ha nelle nostre vite come elemento centrale della nostra esistenza. L’approccio di questo documentario è esistenziale, curioso e cinematografico. Attraverso le esperienze dirette dei suoi protagonisti in quattro nazioni emblematiche – Kuwait, Corea del Sud, Usa e Italia – After Work esplora cos’è oggi l’etica del lavoro e come potrebbe essere un’esistenza libera dal lavoro.

Daniela Catelli, comingsoon.it (09.05.2023)

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After Work, vivere senza lavoro: un altro mondo è possibile (esclusiva)

“Liberiamoci della società del superlavoro”. Una pubblicità per convincere la gente a smettere di lavorare. Una legge, la “pc off”, che impone di spegnere i computer negli uffici alle 18:00 in punto, per impedire fisicamente agli impiegati di operare oltre gli orari stabiliti. Succede in Corea del Sud, dove il lavoro – specialmente per chi ha più di cinquant’anni – è uno status. Di più: una condizione esistenziale, un’ossessione. Un modo per dire al mondo che il tempo della miseria è finito.
La Corea del Sud e il rapporto dei coreani con il lavoro è solo uno degli aspetti – e dei mondi – esplorati in After Work dell’italo svedese Erik Gandini (La teoria svedese dell’amoreThe Rebel SurgeonVideocracySurplus), in sala in Italia dal 15 giugno con Fandango.
Un documentario prodotto da Fasad Production AB con Propaganda Italia, RAI Cinema e Indie film, che viaggia attraverso quattro paesi – Corea, Kuwait, Stati Uniti e l’Italia –  guidato da una sola domanda: come sarebbe la nostra vita, se ci liberassimo del lavoro?

“Ho voluto pensare al lavoro come un’idea, più che una necessità. Qualcosa che sta perdendo senso rispetto a 350 anni fa, all’epoca della rivoluzione industriale – spiega Gandini – Credo che sia arrivato il momento di ripensarlo. Completamente”.

Le macchine al posto dell’uomo

Liberarsi del lavoro: un’ipotesi meno utopica di quanto si creda, a voler dar retta ai profeti dell’avanzamento tecnologico. Secondo la ricerca The Future of Employment (Il futuro dell’occupazione), pubblicata nel 2013 dall’Università di Oxford, il 47% dei lavori statunitensi sarebbe ad alto rischio. La probabilità che nei prossimi vent’anni gli addetti al telemarketing e i sottoscrittori di assicurazioni perdano il lavoro a favore degli algoritmi è del 99%.  Del 97% per i cassieri. Del l’89%, scrivono i ricercatori, per gli autisti di autobus. Senza contare i lavori creativi: “Quando abbiamo iniziato a immaginare il documentario, nel 2020, Chat GPT non c’era – dice Gandini – Pensavamo che la rivoluzione sarebbe cominciata con l’automazione. Invece i primi a scomparire saranno proprio i lavori creativi”.
In potenza, secondo il filosofo americano Noam Chomsky, la rivoluzione tecnologica è una liberazione: “La tecnologia ci deve liberare del lavoro. Può funzionare, a patto di usarla per affrancare le persone da lavori stupidi e permettergli di dedicarsi a qualcosa di creativo”. In pratica, secondo lo storico israeliano Yuvai Harari, è una condanna:  “La battaglia che ci aspetta, quella da combattere, sarà contro l’irrilevanza. Peggio essere irrilevanti che sfruttati”.

E allora: che faremo, quando non avremo più bisogno di lavorare?

Il Kuwait: il lavoro, ma per finta

In Kuwait, tecnicamente, oggi il lavoro potrebbe non servire più. In effetti, secondo l’OMS, il Kuwait è il paese più fisicamente inattivo del mondo, anche se tutti hanno un impiego: il sistema di distribuzione delle ricchezze petrolifere funziona come un reddito di cittadinanza di base, ma con un impegno lavorativo ’’simulato’’. Il risultato? Nei ministeri, dove venti persone sono chiamate a svolgere il lavoro di una sola, i dipendenti giacciono in una sorta di “parcheggio per lavoratori”, passando il tempo, semplicemente, sprecandolo.

Una inattività forzata che produce frustrazione, depressione, desideri autodistruttivi. “Speravo di trovare qualcosa di positivo lì, perché il Kuwait è un paese che ha tutte le opportunità per liberare le persone dalla necessità del lavoro – dice Gandini – Ma l’idea di fare a meno del lavoro è talmente forte che fa paura liberarsene. Piuttosto si preferisce far finta di lavorare, come se andare al lavoro fosse una specie di performance. Ed è tristissimo”.

Gli Stati Uniti: No Vacation Nation

Il viaggio negli Stati Uniti, terra di stakanovismo performativo per eccellenza, ci riporta a una società in cui l’85% delle persone, racconta After Work, “non hanno lavoro o ne sono profondamente insoddisfatti”. Il valore da salvaguardare, qui, è quello dell’efficienza: “Adolf Hitler? Un modello di efficienza perfetta”, ammette, dopo un istante di titubanza, un dirigente della società di analisi e consulenza Gallup. Secondo uno studio condotto dal Project Time Off della US Travel Association, nel 2018 i lavoratori americani hanno lasciato sul tavolo 768 milioni di giorni di vacanza non utilizzati: più della metà dei lavoratori non ha utilizzato tutti i giorni di ferie nel 2018, e il 24% ha dichiarato di non averne usufruito affatto. “Gli americani hanno un rapporto unico con il lavoro – spiega Gandini – Il concetto di sogno americano è stato a lungo associato all’idea di lavorare sodo e raggiungere il successo”. Successo che si paga ad alto prezzo prezzo: l’infelicità di una “no vacation nation”, un paese in cui la vacanza è un fallimento.

Il non lavoro in Italia e l’edonismo NEET

E in Italia? l’attenzione di Gandini si concentra inizialmente su un piccolo gruppo di persone iper-ricche,  appartenenti a dinastie imprenditoriali industriali che hanno vissuto per diverse generazioni senza dover lavorare. “Volevo sfidare il cliché del ricco. L’ereditiera che racconto nel film conduce un’esistenza libera dal lavoro. Il confronto con la Corea, dove le persone devono essere aiutate dalla pubblicità a immaginarsi senza lavoro, è potente: questa donna si sveglia ogni giorno chiedendosi cosa voglia fare, allenandosi alla creatività”. Un aspetto che rende l’Italia ancora più interessante è il fatto che non siano sono solo i super-ricchi a non lavorare: all’interno della classe media italiana si trova il più grande gruppo di “NEET” (Neither in Employment, Education or Training) in Europa, il 28,9% degli italiani tra i 20 e i 34 anni (la media europea è del 16,5%). “Nel dibattito pubblico il fenomeno dei NEET, i ragazzi ‘inattivi’, si racconta facilmente come una catastrofe, con l’indignazione per il nullafacente, ‘lo sdraiato’. Ma a me piace capovolgere il discorso e provocare con un’idea politicamente scorretta: se stiamo cercando alternative creative all’etica del lavoro statunitense e coreana, diventa interessante anche una società come l’Italia, dove esiste una cultura del non lavoro. Forse abbiamo qualcosa da imparare anche da qui: da chi, per scelta, non fa nulla”.

Ilaria Rivarino, hollywoodreporter.it (01.05.2023)

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Vespertilio Awards 2023, ecco tutte le nomination

Annunciate le candidature della seconda edizione del  premio cinematografico ideato e creato dai fondatori del 1º gruppo horror social italiano “Ore d’Orrore” fondato da Tania Bizzarro e Markus Di Meglio.  La cerimonia di premiazione  si svolgerà il l 27 maggio presso il ristorante “lo Chalet” in via di Acilia 300 a Roma.

“Uno sguardo al mondo dimostra che l’orrore non è altro che realtà”, diceva l’inarrivabile Alfred Hitchcock. E forse per questo il cinema del brivido, nelle sue espressioni più efficaci e perturbanti,  riesce ha trasfigurare le nostre paure in un’opera d’arte. Sicché, questa seconda edizione del Vespertilio Awards,  kermesse creata dai mitici Tania Bizzarro e Markus Di Meglio, attraverso l’horror, il giallo, il noir, il thriller, il fantastico e il fantascientifico si trasfigura in un viaggio alla scoperta dell’eccellenza del cinema di genere made in Italy. La giuria, presieduta, dal presidente Claudio Lattanzi, ha visionato oltre 60 titoli, tra lungometraggi, documentari e corti. A dimostrazione della qualità delle opere. spesso e volentieri, le nomination sono composte da sestine e non dalle canoniche cinquine.  L’appuntamento per scoprire i vincitori è previsto per il  27 maggio presso il ristorante “lo Chalet” in via di Acilia 300 a Roma.

TUTTE LE NOMINATION

MIGLIOR MANIFESTO

BIG JELLYFISH – PIOVE

MIRKO LEONARDI – THE BUNKER GAME

FOTO CLAUDIA SICURANZA ARTWORK/GRAFICA MARCO LOVISATI – VETRO

BIG JELLYFISH DANIELE MORETTI – PANTAFA

BIG JELLYFISH – IPERSONNIA

MIGLIORI FX VISIVI

GIUSEPPE SQUILLACI – PIOVE

IL BUIO DEL GIORNO

PETER ZEITLINGER – L’ANGELO DEI MURI

FRANCESCO PEPE – IPERSONNIA

ANDREA BATTISTONI M74 – PANTAFA

BLADES IN THE DARKNESS

MIGLIOR SUONO

PAUL MAERNOUDT, ANTOINE VANDENDRIESSCHE – PIOVE

ENRICO MEDRI, LUCA LEPROTTI – LA CALIFORNIA

FRANCESCO MOROSINI – L’ANGELO DEI MURI

VINCENZO URSELLI, MIRCO PERRI, MARKOS MOLINAS – IPERSONNIA

DANIELE DE ANGELIS – VETRO

ALESSANDRO PALMERINI, ALESSANDRO BIANCHI, ADRIANO DI VALERIO – PANTAFA

MIGLIOR MONTAGGIO

MARCO SPOLETINI – PIOVE

PAOLO MARZONI – LA CALIFORNIA

LORENZO BIANCHINI – L’ANGELO DEI MURI

MARIO MARRONE – IPERSONNIA

MARCO SPOLETINI – SPACE MONKEYS

BRIAN SCHMITT – THE BUNKER GAME

MIGLIORi ACCONCIATURE

ANNAMARIA DI IORIO – LA CALIFORNIA

ALESSANDRA SANTANERA – L’ANGELO DEI MURI

SARA JMIL – BUNKER GAME

DANIELA ALTIERI – IPERSONNIA

DANIELA ALTIERI – SPACE MONKEYS

MIGLIOR TRUCCO

CHIARA BARTOLI, ALESSANDRA GIACCI – PIOVE

ALESSANDRA SANTANERA – L’ANGELO DEI MURI

LAURA TONELLO, ANDREA LEANZA – IPERSONNIA

ELEONORA D’ANGELO – BLADES IN THE DARKNESS

TAMARA TOTTI – SPACE MONKEYS

LUCIA PATULLO – PANTAFA

MIGLIORI COSTUMI

GILDA VENTURINI – L’ANGELO DEI MURI

MARIA CRISTINA LA PAROLA – THE BUNKER GAME

MARIA CRISTINA LA PAROLA – IPERSONNIA

FRANCESCA SARTORI, MARA MASIERO – SPACE MONKEYS

RICCARDO OCCHILUPO – ANATAR

GABRIELLA PESCUCCI – PANTAFA

MIGLIOR SCENOGRAFIA

NELLO GIORGETTI – PIOVE

LORENZO BIANCHINI – L’ANGELO DEI MURI

MARCELLO DI CARLO – THE BUNKER GAME

FABRIZIO D’ARPINO – IPERSONNIA

PAKI MEDURI – SPACE MONKEYS

MIGLIORI MUSICHE

RAF KEUNEN – PIOVE

SILVIA LEONETTI – LA CALIFORNIA

DONELLY VANESSA – L’ANGELO DEI MURI

FEDERICO BISOZZI, DAVIDE TOMAT – IPERSONNIA

ENRICO MELOZZI – SPACE MONKEYS

MIGLIOR FOTOGRAFIA

CRISTIANO DI NICOLA- PIOVE

MAURA MORALES BERGMANN – LA CALIFORNIA

PETER ZEITLINGER – L’ANGELO DEI MURI

MATTEO VIEILLE – IPERSONNIA

DANIELE CIPRÌ – SPACE MONKEYS

MARCO GRAZIAPLENA – THE BUNKER GAME

ATTORI NON PROTAGONISTI

FRANCESCO EMULO (Hidden)

PIETRO BONTEMPO (Piove)

ANDREA RONCATO (La California)

ANTONIO TENTORI (Grida dalla palude)

FRANCESCO ROSSINI. (Blades in the Darkness )

DIEGO CASALE (E tutto il buio che c’è intorno)

ATTRICI NON PROTAGONISTE

ELENA DI CIOCCIO (Piove)

ANGELA BARALDI (La California)

GRETA SANTI (Pantafa)

IVA KRAJNC BAGOLA (L’angelo dei muri)

ERIKA SACCA’ (Devil time two)

AURORA MENENTI ( Piove )

ATTORI PROTAGONISTI

PIERRE RICHARD (L’angelo dei muri)

STEFANO ACCORSI (Ipersonnia)

FRANCESCO GHEGHI (Piove)

LODO GUENZI (La California)

FABRIZIO RONGIONE (Piove)

ATTRICI PROTAGONISTE

CAROLINA SALA (Vetro)

GIOIA HEINZ (L’angelo dei muri)

JENNIFER MISCHIATI (I Follow you)

GAIA WEISS (Bunker game)

VERONIKA ROSATI (It’s not over)

SOFIA PONENTE (Madre notturna)

MIGLIORE SCENEGGIATURA

PAOLO STRIPPOLI, JACOPO DEL GIUDICE, GUSTAVO HERNANDEZ – PIOVE

CINZIA BOMOLL, PIERA DEGLI ESPOSTI, CHRISTIAN POLI – LA CALIFORNIA

LORENZO BIANCHINI, MICHELA BIANCHINI, FABRIZIO BOZZETTI – L’ANGELO DEI MURI

ALBERTO MASCIA, ENRICO SACCÀ – IPERSONNIA

LUCA MASTROGIOVANNI, CIRO ZECCA – VETRO

MIGLIOR REGIA

PAOLO STRIPPOLI – PIOVE

LORENZO BIANCHINI – L’ANGELO DEI MURI

ALBERTO MASCIA – IPERSONNIA

DOMENICO CROCE – VETRO

ALDO IULIANO – SPACE MONKEYS

ROBERTO ZAZZARA – THE BUNKER GAME

MIGLIOR FILM

PIOVE

LA CALIFORNIA

THE ANGEL OF THE WALL

IPERSONNIA

VETRO

BUNKER GAME

MIGLIOR CORTOMETRAGGIO

RUN DEATH RUN

ESCALATION

WOLF+LAMB

IVI ELV

RESTARE UMANI

L’ISOLA DEI RESUSCITATI MORTI

MIGLIOR DOCUMENTARIO

FANTASMAGORIA – SEASON 2

MILANO CALIBRO 9 : LE ORE DEL DESTINO

RAGTAG

ZIO TIBIA – IL DOCUMENTARIOFOTOGALLERY

tg24.sky.it (18.04.2023)

Categories
In produzione It Produzioni

Woken

Woken

POST-PRODUZIONE

POST-PRODUZIONE

GENERE
Thriller, Sci-fi

DURATA
91′

ANNO
2023

REGIA
Alan Friel

AUTORE
Alan Friel

CAST
Maxine Peake
Erin Kellyman
Ivanno Jeremiah
Corrado Invernizzi

PRODUZIONE
Fantastic Films [ei]
Propaganda Italia

DISTRIBUZIONE
Estero: Bankside Films

TEAM CREATIVO
Ratchev & Carratello (Musiche)
Richard Kendrick (Fotografia)
Breege Rowley, Chris Gill, Manuel Grieco (Montaggio)
Steve Oakes (Scenografia)
Sarajane Ffrench O’Carroll (Costumi)
Giuseppe Squillaci (Supervisione VFX)
Dean Murray (Suono di Presa Diretta)
Stefano Di Fiore (Sound Design)
Valerio Brini (Sound Mix)

Woken

Anna si sveglia incinta e incapace di ricordare il suo amato marito James, o Helen e Peter che la stanno aiutando a rimettersi in salute su un’isola sperduta. Ben presto scopre che sono tutti sull’isola per sfuggire a una potente infezione che ha decimato la popolazione sulla terra. Ora, insicura di tutto ciò che le viene detto, esplora l’isola e scopre la terribile realtà. Per salvare se stessa, e il suo bambino non ancora nato deve instaurare un legame scomodo con uno dei suoi rapitori e fuggire dall’isola. Un film puntuale che si misura con il grande quesito esistenziale sulla possibilità dell’uomo di sostituirsi a Dio, avendo già distrutto l’umanità con il continuo interferire sui processi naturali.