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“5 è il numero perfetto”, Valeria Golino vince il David di Donatello per la Migliore Attrice Non Protagonista

Tratto dalla sua graphic novel, pubblicata e acclamata nel 2002. Il film segue le vicende di Peppino Lo Cicero, interpretato da Toni Servillo, guappo e sicario in pensione, che torna in attività dopo l’omicidio del figlio. Il tragico avvenimento innesca una serie di azioni e reazioni violente, ma è anche la scintilla per cominciare una nuova vita.



Curiosità



Rispetto alla graphic novel dal quale è tratto, nel film compare un nuovo personaggio, il Gobbo, una figura apparentemente miserabile alla quale Lo Cicero si rivolge per trovare l’arma perfetta per tornare in pista.



Il film è ambientato negli anni Settanta in una Napoli notturna e deserta, che, come ha dichiarato il regista, è volutamente lontana da quella città livida e frontale descritta in Gomorra. Come ha dichiarato Igort, nome d’arte del regista, l’idea è stata quella di attuare una grande stilizzazione, tanto che anche le sparatorie sono coreografate.






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Marina Marzotto confermata alla presidenza Agici

Martedì 15 ottobre a Roma, l’Assemblea Nazionale dei Soci AGICI ha rinnovato la fiducia a Marina Marzotto (Propaganda Italia) come Presidente AGICI – Associazione Generale Industrie Cine-Audiovisive Indipendenti.

Il Consigli Direttivo che coadiuverà il Presidente Marzotto risulta così composto:

– Nadia Trevisan (Nefertiti Film) Vice Presidente AGICI

– Simone Gandolfo (Macaia Film)

– Marzia dal Fabbro (Sound Art 23)

– Alessandro Riccardi (Vargat Film)

– Giuseppe Squillaci (Galactus Studio)

– Federico Minetti (Effendemfilm)

– Mario D’Andrea (MDL Creations)

Confermato Alessandro Costantini Segretario Generale AGICI.

Sono state inoltre rinnovate le cariche per il Collegio Territoriale:

Federico Massa (Avilab) Referente Area Triveneto AGICI [Trentino Alto Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia]

Claudia Di Lascia (Kinedimorae) Referente Area Nord Ovest AGICI [Lombardia, Piemonte, Val D’Aosta e Liguria]

Maria Martinelli (Kamera Film) Referente Area Centro Nord AGICI [Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche]

Fabrizio Nucci (Open Fields Productions) Referente Area Sud Est AGICI [Puglia, Basilicata, Calabria]

Massimo Casula (Zena Film) Referente Area Sud Ovest e Isole AGICI [Campania, Sardegna e Sicilia]

Roberto Borghi, primaonline.it (16.10.2019)

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“5 è il numero perfetto”, così si porta un fumetto al cinema

Da alcuni giorni è in sala il film 5 è il numero perfetto scritto e diretto da Igort (fondatore della casa editrice Coconino e successivamente di Oblomov, direttore editoriale di Linus, fumettista di fama internazionale), basato sul suo omonimo libro del 2002, molto apprezzato alle recenti Giornate degli Autori di Venezia ’76.

Non è facile parlare delle opere realizzate da persone a noi vicine, i rischi sono molteplici: la prossimità rende lo sguardo deformato, inibisce la distanza critica, induce a perdersi nei dettagli, smarrendo il disegno d’insieme. Si può essere troppo entusiasti, per uno spirito partigiano dettato dall’affetto nei confronti dell’autore, oppure troppo severi, poiché la stessa vicinanza umana impedisce di vedere la grandezza dell’opera.

A Igort mi lega un rapporto di profonda stima reciproca, di intesa intellettuale, di affine ricerca spirituale. Questo non vuol dire che siamo sempre d’accordo; al contrario, è proprio il confronto aperto e franco che rende autentica un’amicizia. Dichiaro, dunque, subito la mia mancanza di (peraltro impossibile) oggettività: ho vissuto con emozione l’attesa dell’uscita al cinema di 5 è il numero perfetto.

Emozione, e anche un certo tremore. Questo perché conoscevo la passione e la dedizione, quasi ossessiva, con la quale Igort si era dedicato al progetto (dieci stesure diverse in 13 anni), ma conoscevo anche l’azzardo grave della scommessa che si era prefissato: trasporre al cinema quello che è, probabilmente, il suo fumetto più celebre.

Le percentuali di fiasco inglorioso, confessiamocelo, erano alte. Visto che sono in vena di confessioni, dirò che anche 5 è il numero perfetto non è certo il mio libro preferito di Igort. Pur riconoscendo le qualità elogiate da Antonio D’Orrico sul Corriere della Sera (“Ci sono sparatorie bellissime e sogni labirintici, agguati in notti nere di pioggia e visioni mistiche nel cielo azzurro… Il più bel noir italiano mai scritto”), preferirò sempre la vibrante denuncia civile dei Quaderni Russi o la grazia meditativa dei Quaderni Giapponesi. Questione di sensibilità.

Toni Servillo, presentando il film a Roma, ha definito il fumetto il “Quaderno napoletano” di Igort. Si tratta di una definizione felice: in quest’opera emerge il tipico approccio dell’autore cagliaritano, una sorta di immersione totale nell’atmosfera più sottile di un luogo, a svellerne le “radici genesiache” (direbbe Artaud, scomparso questi giorni), a destarne e a corteggiarne il genius loci.

Napoli è protagonista: teatro onirico di barocche visioni mistiche e di una realtà ben più allucinata. Nella sua mescolanza, quasi da metropoli indiana, di alto e basso, santità e vizio, solennità e sberleffo, spensierata saggezza ed efferato sadismo, Napoli è l’unico scenario pensabile per la parabola paradossale di Peppino Lo Cicero (interpretato da un Servillo quanto mai centrato): eroe nell’abiezione, trionfale nello strazio, grigio impiegato della morte che, nel mondo moralmente a rovescio della malavita, diviene traditore disubbidiente per amore e per sopravvivenza. La stessa condizione del regista è paradossale: un maestro del fumetto, esordiente al cinema, che traspone nel medium in cui è meno esperto la sua opera più apprezzata, dunque diviene potenzialmente il peggior traditore di se stesso. Una sfida non per tutti.

Il film, ovviamente, mantiene e affronta tutti i temi che rendono il fumetto di Igort un’opera di grande intelligenza, a partire dalle contraddizioni che lacerano il protagonista: il tradimento e la vendetta, la coesistenza di dolci sentimenti e spietatezza omicida, il contrasto grottesco tra devozione mariana e abitudine al massacro, un sottotesto di sapienza taoista mascherata in lazzi in vernacolo partenopeo. Solo un ricercatore consapevole e ironico come Igort poteva nascondere in bocca a un anziano killer napoletano che sorseggia un caffè dopo una carneficina una splendida allegoria dal sapore gurdjieffiano (ovvero, il titolo della storia).

La sorpresa è che, nella trasposizione cinematografica di un fumetto, per la prima volta a mia memoria, la forza dell’opera originaria non si diluisce, forse aumenta: la splendida fotografia di Nicolaj Brüel (David di Donatello per Dogman di Matteo Garrone) evoca suggestioni tarkovskijane, i deliranti flashback ricordano le visioni felliniane di Toby Dammitt, il protagonista è un meraviglioso incrocio tra Dick Tracy e Totò. Ma, essendo un autore autenticamente colto e non uno che fa finta di esserlo, Igort non ha bisogno di disseminare la propria opera di allusioni e ammiccamenti: è un film, non è una caccia al tesoro per primi della classe.

Le influenze ci sono, ovviamente, ma assorbite, a volte quasi inconsciamente, senza plagi spacciati per citazioni. Gli attori sono notevoli: Servillo (del quale ormai è quasi noioso dover sottolineare la bravura) trova un ruolo in cui i vezzi di cui spesso lo si accusa (una certa gigioneria, la tendenza al trasformismo) diventano armi in più; Carlo Buccirosso sembra nato apposta per fare questa parte; infine, Igort è riuscito nel miracolo di farmi piacere anche Valeria Golino.

I pedanti professori del genere potrebbero obiettare circa una certa lentezza nel ritmo, soprattutto iniziale, ma non si può relegare 5 è il numero perfetto alla categoria noir: se lo si vede in quell’ottica, è chiaro che non ha i tempi adrenalinici di una macelleria tarantiniana. Ma la bellezza del film è altrove, è un’opera filosofica, una meditazione sulla vanità dell’apparenza mascherata da noir, prova ne sia come, nel momento dell’apice parossistico della vendetta il protagonista si trasformi in un MeursaultLo Straniero camusiano, al contrario. Un film che rimarrà.

Al contrario, delle sciocche polemiche che hanno accompagnato una frase (meno felice di quella citata) di Servillo. Ma, si sa, in Italia ogni giorno c’è un torneo di volpi, riunite attorno ad ogni nuovo grappolo d’uva. Alcuni passano la vita a tirare fango, altri a estrarre diamanti.

Noi, se non altro per gratitudine, siamo dalla parte dei secondi.

Adriano Ercolani, ilfattoquotidiano.it (05.09.2019)

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“5 è il numero perfetto”. Un film attesissimo al dettaglio che si spinge ‘oltre’ la storia e riserva tante gradite sorprese.

Peppino Lo Cicero è un sicario di seconda classe della camorra in pensione, costretto a tornare in azione dopo l’omicidio di suo figlio. Questo avvenimento tragico innesca una serie di azioni e reazioni violente ma è anche la scintilla per cominciare una nuova vita.

Gli appassionati di graphic novel di qualità non hanno bisogno di particolari presentazioni di Igort, maestro riconosciuto a livello internazionale.

Coloro che non frequentano questa forma d’arte hanno ora la possibilità di conoscerlo e forse potranno apprezzarne le qualità di regista con quella libertà di valutazione che ci si può consentire quando, nel passaggio da una forma di espressione ad un’altra, non si conosce il modello. Perché questo film nasce dal volume omonimo pubblicato nel 2002. Chi lo ha concepito sulla carta ora lo ha diretto per il grande schermo.

In questi casi il lavoro del casting è più che mai fondamentale perché i personaggi hanno già ricevuto una caratterizzazione sulla pagina che ha lasciato un’impronta ben precisa nell’immaginario di chi ha letto e apprezzato. Sia per loro che per chi giunge iconicamente vergine dinanzi a questa storia va detto che tutti i personaggi hanno trovato l’attore giusto che ha offerto loro carne, sangue e voce. A partire da Toni Servillo che aderisce con grande partecipazione alle azioni e ai pensieri di un uomo che vede la propria attività di killer come un lavoro faticoso che ha una propria (distorta) morale.

Lui, Buccirosso, Golino e tutti gli altri fino ai ruoli minori sanno offrire caratterizzazioni da cinema anni ’70 innervate da uno sguardo, quello di Igort, che sa come andare ‘oltre’ la storia riuscendo a far diventare protagonisti gli spazi e gli edifici in ogni inquadratura.

IGORT APPRODA AL CINEMA CON UN TONI SERVILLO VERSIONE KILLER IN IMPERMEABILE.

Ci ha messo 13 anni e 10 stesure per adattare su grande schermo il suo graphic novel, Igor Tuveri. Il film 5 è il numero perfetto, previsto in uscita per i primi di settembre, è ambientato negli anni Settanta in una Napoli notturna e nebulosa, deserta, volutamente lontana da quella “livida e frontale alla Gomorra“, racconta il regista al Comicon. “La mia idea era di grande stilizzazione: anche le sparatorie del film sono coreografate”. 

Protagonista è Peppino Lo Cicero, interpretato da Toni Servillo, questa volta nei panni di un guappo in pensione costretto dagli eventi a tornare in azione con tanto di impermeabile “che fa il verso direttamente a Bogart di Casablanca”.

C’è da scegliere l’arma giusta, così Peppino si reca dal Gobbo – new entry non presente nel graphic novel – un personaggio apparentemente miserabile capace però di trovargli in poco tempo la pistola perfetta per farlo tornare in pista.

Il regista descrive i suoi protagonisti, dopo aver poco elegantemente sintetizzato la storia così: “Due cavalli che galoppano. La trama non mi interessa affatto”. I due ‘cavalli’ in questione sarebbero in sostanza Peppino Lo Cicero e Toto Macellaro: “Due gangster di periferia, due gregari, due killer del ca**o che andavano a uccidere, ma non sono mai stati e mai saranno due capi. Ecco, questo loro non farcela fa molto Europa, loro non sanno se ce la faranno. Ce n’è uno, Peppino Lo Cicero, che cerca vendetta perché gli hanno ammazzato il figlio, e l’altro che lo deve affiancare perché è il suo vecchio compare di missioni per la Camorra e si ritrova in mezzo”. 

Giancarlo Zappoli, mymovies.it (29.08.2019)

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“La Macchinazione”, perché Pasolini fa ancora paura

Dobbiamo ringraziare gli autori del vile oltraggio vandalico che ha danneggiato la stele commemorativa di Pier Paolo Pasolini, eretta nel luogo dove fu massacrato la notte tra l’1 e il 2 Novembre 1975. Dobbiamo farlo perché, nella loro consueta eleganza, hanno tributato il più alto omaggio al Poeta e Maestro (lui fu questo): dimostrare che 40 anni dopo, fa ancora paura. Il gesto è probabilmente una risposta a La Macchinazione, il film di David Grieco (amico e collaboratore di Pasolini), che ricostruisce, in maniera purtroppo plausibile, la verità di quella tragica notte. Un film da vedere e rivedere, realizzato in tempi brevissimi, con un budget limitato, ma che trabocca passione, rispetto, ricerca della verità.

Certo, i critici snob col dito sempre puntato, potrebbero sottolineare alcuni difetti dell’opera: Massimo Ranieri è tanto impressionante nella somiglianza (come seppe riconoscere lo stesso Pasolini) e impeccabile nella mimesi, quanto straniante nel suo lieve accento napoletano; Matteo Taranto è bravissimo nello sfoderare una vasta gamma espressiva tra l’aspirante gangster e il disperato di periferia, ma il suo romanesco ricorda quello del Rugantino di Celentano; la scena in cui Pasolini ha la visione dell’attuale Matrix contemporanea è maldestra. Tutto vero. Ma consentitemi: chi se ne importa. A differenza del precedente di Abel Ferrara (che mostra una visione laccata e pruriginosa dell’autore friulano), La Macchinazione è una testimonianza straordinaria perché, secondo la lezione di Pasolini, usa il cinema per ricostruire una verità nascosta da 40 anni. Come il suo amico e maestro scrisse in un celebre articolo sul Corriere della Sera (forse, la sua condanna a morte), Grieco sa come è andata quella sera, ma non ha le prove. E nel film (e ancor più nell’omonimo libro pubblicato da Rizzoli), proprio come scrisse Pasolini, svolge il vero ruolo dell’intellettuale che “coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero”. Il film ricostruisce 40 anni di prove evidenti ma ignorate, di testimonianze cruciali ma inascoltate, di evidenti legami mai approfonditi dagli inquirenti. Una mole imponente di indizi seppellita sotto l’epitaffio qualunquista: “Era un frocio che se l’è cercata”. La versione ufficiale, secondo cui Pino Pelosi avrebbe ucciso Pasolini investendolo per sbaglio con la sua macchina dopo averlo picchiato in reazione a un tentato stupro, è semplicemente ridicola. La tesi di Grieco è che quella sera c’erano due macchine e almeno sei persone a uccidere il poeta: Pelosi fu un’esca per un’imboscata. Pasolini sapeva troppo. Complottismo?

Potremmo toglierci il dubbio, documentandoci. Ad esempio, valutando che: la prima sentenza ritenne impossibile che Pelosi avesse fatto tutto da solo; il corpo di Pasolini era martoriato e pieno di sangue ma Pelosi ne aveva solo poche macchiette sulla camicia; nella macchina sono stati ritrovati oggetti che non appartenevano né a Pelosi, né a Pasolini; per passare inavvertitamente sul corpo fu necessario fare una manovra complicatissima (Pelosi non aveva la patente) nella quale si spaccò un palo, ma la macchina di Pasolini era intatta; il terreno era pieno di buche, con copiose tracce di olio (come il corpo di Pasolini), ma anche la coppa dell’olio era intatta; le analisi sul corpo mostrarono che evidentemente gli erano passati addosso apposta più volte; Pasolini stava scrivendo Petrolio in cui denuncia la P2 sei anni prima che venissero scoperte le liste di Gelli, e in in cui descrive la bomba alla stazione di Bologna 5 anni prima dell’effettivo attentato; Sergio Citti fu avvicinato pochi giorni prima da membri della Banda della Magliana per trattare la restituzione delle bobine di Salò; Pelosi ritrattò dopo 30 anni la confessione dicendo che era stato minacciato; numerosi testimoni parlarono di almeno 5 persone che massacravano il poeta; avvocati e consulenti psichiatrici dietro la versione ufficiale erano legati all’estrema destra e alla Banda della Magliana. La lista potrebbe continuare ancora per molto, come nelle 250 pagine del libro. Dettagli, eh. Pasolini non era certo un intellettuale scomodo che aveva dichiarato di sapere chi aveva messo le bombe nelle piazze e stava scrivendo un dossier sui legami tra politica, industria e criminalità legata all’estrema destra. Era solo “uno che se l’è cercata”. La verità.

Adriano Ercolani, ilfattoquotidiano.it (02.04.2016)

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Pier Paolo Pasolini: “La Macchinazione”, film di David Grieco, chiede la verità sulla morte del poeta

Il 2 novembre del 1975 è una data che sono in molti a ricordare, ma che all’epoca, e purtroppo ancora oggi, sono stati e sono in pochi a comprendere. Quella notte morì uno dei più grandi intellettuali italiani, Pier Paolo Pasolini, barbaramente ucciso all’Idroscalo di Ostia, e quella morte resta un mistero nonostante siano trascorsi quarant’anni. La sua morte – a tutti gli effetti uno dei tanti segreti italiani – fu un caso che all’epoca, poco dopo l’accaduto, venne chiuso perché ritenuto “uno dei tanti incidenti, una manifestazione di violenza nell’ambiente omosessuale”, come disse il poeta Nico Naldini, cugino di P.P.P., “perché così muoiono gli omosessuali”.

Stando infatti ai primi atti del processo, ad ucciderlo fu l’allora diciassettenne Giuseppe (Pino) Pelosi, un ragazzo di vita abbordato dal poeta nella zona della stazione Termini, a Roma. Ma come fece un ragazzino alto poco più di un metro e settanta, “soprannominato Pino la Rana, mica Pino il Gorilla, Pino Katanga, o Pino er Mastino” – come ha fatto notare Carlo Lucarelli nel suo libro – e che pesava solo sessanta chili ad ammazzarlo da solo? Davvero strano che uno come Pasolini – che i suoi cinquantatré anni se li portava molto bene (era muscoloso, in forma e allenato dalle partite a calcio e anche da un certo interesse per le arti marziali) – non ebbe la meglio su di lui. Difficile da credere che un uomo abituato a difendersi tutti i giorni – molte delle presentazioni dei suoi libri e dei suoi film finivano spesso in risse provocate dai suoi denigratori – non seppe difendersi dal suo esile killer. Eppure andò così. O, almeno, così ci hanno fatto credere.

Se a questo, poi, aggiungiamo il ritrovamento del suo corpo martoriato da colpi contundenti e di un assassino non sporco di sangue, il caso si infittisce e va a complicarsi ancora di più di fronte a domande che ad oggi non hanno trovato risposta. Di chi erano il plantare destro e la maglia verde ritrovati nella sua auto, la mitica Giulietta color verde oliva, dato che non appartenevano né a lui né al suo omicida? Per quale motivo molti testimoni oculari non vennero ascoltati e di chi erano le tante tracce di pneumatici presenti sul luogo del delitto? E molte altre ancora.

“Quello di Pasolini rimane un omicidio dalla dinamica non chiara e dai molti interrogativi irrisolti”, ha spiegato all’HuffPost David Grieco, giornalista e regista, che racconta tutto questo e molto altro ancora ne La macchinazione, il suo nuovo film in uscita nelle sale il prossimo 24 marzo per Microcinema. Il regista, già autore dell’omonimo libro pubblicato da Rizzoli, è uno dei firmatari della petizione lanciata su change.org dall’avvocato Stefano Maccioni, legale del cugino di Pasolini, affinché il Parlamento approvi la proposta di legge presentata dai deputati Paolo Bolognesi (Pd) e Serena Pellegrino (SI) che istituisce una Commissione d’inchiesta monocamerale sull’omicidio del poeta e regista.

“Il caso non è chiuso” – ha precisato Bolognesi alla proiezione privata del film di Grieco, organizzata alla Camera dei Deputati – “a quarant’anni da quella tragica morte, i nuovi indizi emersi su una diversa dinamica e un possibile movente, anche successivamente all’archiviazione, sono numerosi. Occorre solo una semplice azione: indagare. Un compito che il Parlamento ha il dovere di svolgere perché il principio di verità e giustizia su quella morte è un diritto da garantire senza prescrizione e sono in molti a richiederlo”.

Ad oggi, infatti, sono state raccolte più di undicimila firme, tra petizione on line e le cartoline prestampate che i cittadini potranno inviare al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, al presidente del Consiglio Matteo Renzi e alla presidente della Camera Boldrini perché il Parlamento indaghi. Una proposta di inchiesta parlamentare è necessaria per analizzare la dinamica del delitto, per esaminare e valutare le possibili connessioni tra l’omicidio di P.P.P. e quelli di Enrico Mattei e di Mauro De Mauro nonché con l’operato della loggia massonica ‘Propaganda 2’ facente capo a Licio Gelli e dei suoi iscritti o con altre organizzazioni criminali, ma soprattutto – come recita l’articolo 1 della proposta – “per analizzare le modalità di azione delle amministrazioni dello Stato in relazione al delitto al fine di valutarne, in particolare, la competenza e l’attendibilità”.

“Tutto potrà servire per fare chiarezza su una storia che in un modo più grottesco non ci potevano raccontare”, ha aggiunto Grieco che nel suo film – prodotto da un’ imprenditrice “coraggiosa e pazzoide” (come l’ha definita lui), Marina Marzotto e dalla sua Propaganda Italia, interpretato da un Massimo Ranieri perfetto nel ruolo di Pasolini e impreziosito dalle musiche dei Pink Floyd- è riuscito a darci una versione cinematografica sulla vicenda diversa e più vicina alla realtà dei fatti rispetto a tutte le altre realizzate fin’ora. Nel corso della sua personale indagine sulle trame della corruzione politica, Pasolini ebbe modo di imbattersi in Giorgio Steimetz, uno strano personaggio dal nome di fantasia, che scrisse un libro di denuncia contro Eugenio Cefis, “autore di stragismo italiano”, come lo definì in P.P.P. in Petrolio, la sua opera postuma, dove ne parla usando lo pseudonimo Troya. Il libro, intitolato Questo è Cefis, scomparve dalla circolazione a quarantotto ore dalla sua uscita, l’autore venne costantemente pedinato dai servizi segreti, ma Pasolini non ebbe modo di sapere che quegli incontri con Steimetz erano puntualmente osservati e registrati da spie molto ben organizzate.

“Una notte, presso gli stabilimenti romani della Technicolor, il negativo di Salò o le 120 Giornate di Sodoma venne portato via da una banda di ladri”, ci racconta Grieco. “I ladri erano degli amici di Pelosi, ma la mente di quella rapina era un pezzo grosso della malavita organizzata. Vennero richiesti due miliardi di lire, ma poco dopo, scesero scendere a una proposta più bassa, convincendolo a farsi trovare all’Idroscalo nella notte fra il primo e il due novembre”. “Quell’appuntamento – ha aggiunto – era una trappola: il suo assassinio venne pianificato nei minimi particolari da tanti complici volontari e involontari, tutti uguali e tutti ugualmente colpevoli”.

Questo è dimostrabile, come ci spiega Grieco e come è scritto nella proposta di inchiesta, da quando, nel 2009, dopo che l’avvocato Maccioni presentò alla procura della Repubblica di Roma un’istanza di riapertura delle indagini, l’esame del DNA sui reperti del delitto confermò la presenza di altre persone sulla scena del crimine. “Alcune di queste persone sono ancora in libertà e lo stesso Antonio Pinna (nel film è interpretato da Libero De Rienzo), di cui non si hanno più notizie, dicono che sia più vivo di me e che abiti fuori dall’Italia”, tiene a precisare il regista, che ha dedicato il film al suo caro amico e collega Sergio Citti, “il primo a fare una ricostruzione importante e diversa del caso”. “Ci sono mole contraddizioni tra quello che dichiarò la polizia e quello che dichiararono i carabinieri in merito a quella notte, compresa la magistratura. In proposito, vorrei incontrare il magistrato Ferdinando Zucconi Galli Fonseca e chiedergli cosa ne pensa dopo quarant’anni”, C’è addirittura un testimone che non è stato mai ascoltato, Misha Bessendorf – la cui testimonianza è stata raccolta in un articolo pubblicato dal Corriere della Sera – un uomo di origini russe che non vive più da tempo ad Ostia (oggi vive ed insegna matematica a New York, dove si è laureato poco dopo il suo trasferimento negli Stati Uniti, nel 1980 alla Brown University) che allora aveva 25 anni e che vide dalla finestra del suo bagno quanto stava accadendo.

“La finestra nella mia stanza era parzialmente aperta. Ho sentito un rumore forte e allora ho guardato fuori. Ho visto parecchie persone, credo tre o quattro, sui trent’anni, vicino a una piccola macchina. Un uomo era steso per terra. Allora sono corso giù per le scale e nel giro di pochi minuti il posto era pieno di gente e di carabinieri. Uno dei carabinieri mi ha preso il nome e ha trascritto quanto avevo visto. E poi? Non sono stato più sentito da quel carabiniere una seconda volta”. (dalla testimonianza di Misha Bessendorf, la cui voce è la prima di un testimone che asserisce di aver visto la scena del delitto Pasolini).

“Quello che fa impressione è stata la sfacciataggine dei Governi e delle Istituzioni del Paese di fronte a questo caso”, dice Grieco. “Ho comunque fiducia nel Parlamento e in Matteo Renzi, che era piccolissimo quando Pasolini vene ucciso e che non dovrebbe avere ancora questo peso sulle spalle. Non sono un grande sostenitore di Renzi, ma spero che riesca a spostare qualcosa in tal senso. Per avere la verità, conclude, si devono fare dei sacrifici. Il problema, da non sottovalutare, è che se si arriva alla verità su Pasolini, si può arrivare alla verità su tante altre cose che non farà piacere a molti”. Staremo a vedere cosa accadrà. Siamo molto fiduciosi anche noi.

Giuseppe Fantasia, huffingtonpost.com (02.03.2016)