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Al MIA si discute del futuro del cinema italiano

(E-DUESSE.IT) Sono intervenuti Alessandro Araimo, Paolo Del Brocco, Piera Detassis, Giampaolo Letta, Federica Lucisano, Massimiliano Orfei e Marina Marzotto. Ha moderato Paolo Sinopoli

Quale sarà il futuro del cinema italiano? Quale sarà il modello di business delle piattaforme nei prossimi anni? Come risollevare la nostra cinematografia sul grande schermo? Sono questi alcuni degli interrogativi emersi durante il convegno dal titolo “Cinema in Italia: un domani più luminoso?”, organizzato dal MIA – Mercato Internazionale dell’Audiovisivo e moderato da Paolo Sinopoli (responsabile delle riviste Box Office e Italian Cinema). A intervenire in questo panel affollato al cinema Barberini sono stati Alessandro Araimo (General Manager Italy e Iberia di Warner Bros. Discovery), Paolo Del Brocco (amministratore delegato di Rai Cinema), Piera Detassis (presidente e direttrice artistica dell’Accademia del Cinema Italiano-Premi David di Donatello), Giampaolo Letta (vicepresidente e amministratore delegato di Medusa Film), Federica Lucisano (amministratore delegato di Lucisano Media Group e di Italian International Film), Massimiliano Orfei (amministratore delegato di Vision Distribution) e Marina Marzotto (Founder e Senior Partner di Propaganda Italia).

Di seguito tutti gli interventi dei relatori:

ALESSANDRO ARAIMO
General Manager Italy e Iberia di Warner Bros. Discovery

1. Warner Bros. Discovery è l’unica major che continua a investire seriamente nel cinema italiano. Quest’anno i primi due incassi italiani dell’anno sono vostri grazie a Tre di troppo e all’ultimo capitolo dei Me contro Te. Quali sono i piani di WBD per lo sviluppo del cinema italiano? Quanto e dove prevedete di investire, ed è ancora strategico il cinema italiano per una major come la vostra?
Il cinema italiano, ma più in generale la local production, resta centrale nel sistema Warner Bros. Discovery. Produrre localmente per noi significa puntare su film con un appeal commerciale e con una qualità intrinseca che possano integrarsi con il nostro slate di titoli globali, radicando la nostra presenza in un mercato importante sia da un punto di vista di incassi che di industry. Essere presenti in tutti gli step della catena del valore è strategico. Per questo continueremo a selezionare i progetti e a investire su titoli con budget imponenti e con ambizioni commerciali. Punteremo sempre sulla commedia italiana, come abbiamo già fatto con successo negli ultimi anni, e amplieremo ulteriormente la franchise dei Me contro Te. Allo stesso tempo non smetteremo di sperimentare e a novembre usciremo con l’horror Home Education, perché crediamo che una parte del budget debba essere dedicata allo sviluppo di nuovi talenti e di nuovi generi.

2.
Qualche anno fa le piattaforme erano il nemico, poi si sono trasformate in un alleato in quanto investivano in produzioni italiane e acquistavano prodotto. Ma il modello delle piattaforme è in continua evoluzione: gli investimenti nel cinema italiano stanno calando, si sta introducendo la pubblicità, i giovani fruiscono sempre più serie Tv e sempre meno film on demand, e gli stessi film non sono poi così valorizzati nel catalogo. Ma tra un anno, massimo due, quale sarà il modello delle piattaforme? Per quanto e come continueranno a sostenere il cinema italiano?
Le piattaforme saranno sempre più selettive, ma non smetteranno di investire su contenuti nei mercati principali. Se vogliono svilupparsi in territori con una forte componente culturale come quelli europei, resta essenziale un’offerta che parli la stessa lingua del Paese. In questo senso sono certo che gli investimenti continueranno. In Spagna abbiamo la piattaforma HBO Max, quindi gestisco anche gli investimenti del servizio streaming oltre a quelli in local production theatrical, e in questo contesto è stata ribadita l’importanza della produzione locale e di una sua razionalizzazione. Ci saranno, quindi, produzioni con budget molto importanti – sia con ambizioni internazionali che con focus più nazionali – con l’obiettivo di generare abbonati, e poi ci saranno titoli di medie dimensioni chiamati ad alimentare il processo di consumo. Credo che questo tipo di segmentazione sarà implementato in tutte le piattaforme.
In Italia non abbiamo ancora una nostra piattaforma streaming, ma ce l’avremo in futuro e contribuiremo con investimenti in progetti scripted. L’industry italiana ha davanti a sé una grande opportunità: allargare gli orizzonti e sfruttare le piattaforme per creare uno o più progetti da 10-20 milioni di euro con un forte appeal sull’audience internazionale. In Spagna, ad esempio, abbiamo prodotto 30 monedas, una serie Tv con un budget da decine di milioni di euro che nasce con un’ambizione globale, tanto che sarà trasmessa in prime time sul canale americano HBO e sarà oggetto di attività marketing sull’Hollywood Boulevard. Infine, vorrei concludere con una riflessione. Spesso quando si parla di piattaforme si pensa subito a serie Tv. Ma se guardo ai dati delle nostre piattaforme, la capacità dei film di generare abbonati è molto alta, tanto che Max ha ricominciato a co-investire nelle nostre produzioni cinematografiche locali.

PAOLO DEL BROCCO
Amministratore delegato di Rai Cinema

1.
Parliamo di sostenibilità dei costi. Rai Cinema entra sempre in quota di minoranza, in percentuali più o meno elevate, in moltissime produzioni italiane. In questi anni, però, i costi produttivi sono lievitati di quasi un 30% e non mancano titoli da 15, 20 o addirittura 28 milioni di euro. Inoltre, se nel 2022 solo 17 film italiani su 321 hanno superato il milione di euro al box office, da gennaio ad ottobre 2023 abbiamo avuto 15 produzioni italiane oltre il milione di incasso. Questo modello è ancora sostenibile per la nostra cinematografia? E su quali direttrici si muoverà in futuro Rai Cinema?
Sicuramente stiamo migliorando molto al box office e la quota di cinema italiano si sta avvicinando al 20%. C’è sicuramente una polarizzazione sui film evento, con budget più alti e autori/attori importanti e questo è positivo. Il lato negativo, però, è che c’è tutta un’altra parte di film medio-piccoli, ma anche di opere prime e seconde, che soffrono ancora e credo soffriranno sempre più.
A maggior ragione in una situazione con costi di produzioni sempre più elevati causati dalla competizione di operatori globali e di grandi società internazionali. Poi alcuni film più “muscolosi” avranno sempre bisogno di una diversa struttura finanziaria e di un maggior production value, ma questi costi iniziano a essere insensati per i titoli più piccoli.
Come ci muoveremo noi? Mentre abbiamo in corso un ampia riflessione sulla linea editoriale, è ormai evidente che la sala non assorbe più lo stesso numero di film di un tempo. I film con budget medio-piccoli che andavano ai festival e avevano un loro pubblico, ad esempio, oggi non riescono più a emergere. Un altro problema è la crescente difficoltà a garantire gli sfruttamenti successivi alla sala per certi titoli, eliminando così un importante anello della catena del valore e non potendo offrire più una visibilità a lungo termine. Ho sempre detto che il nostro sistema cinema non ha mai avuto un problema di quantità di film prodotti, in quanto da questo volume nasce la qualità. Ma ora ci troveremo a dover ridurre questo volume di film prodotti, che negli ultimi anni tre anni ha visto Rai Cinema realizzare 220 film e 100 documentari, coinvolgendo 324 registi e 190 società di produzione. Dovremo concentrarci sui giovani con potenzialità e fare film sempre più eventizzabili.

2.
Ritiene che la struttura dei finanziamenti e del sostegno alla produzione italiana sia adeguata alle esigenze, o si necessita una revisione? Auspica nuovi interventi?
Sicuramente è stata immessa nel sistema una massa di finanziamenti pubblici determinante per mantenere un alto livello produttivo in Italia e per attrarre investitori internazionali. La mia sensazione è che il tax credit uguale per tutti e per qualsiasi prodotto vada rivista. Come? Non saprei, servirebbe un dibattito tecnico e dovremmo tutti porci alcune domande, ma sicuramente servono interventi di sistema. Inoltre, potendo usufruire del tax credit, sempre più produttori tendono a realizzare opere prime e seconde con risultati perlopiù modesti, e credo serva un maggiore sforzo di selezione. Infine, resto convinto che una finestra theatrical valida per tutti i film sarebbe di stimolo per il pubblico ad andare in sala, sapendo di dover attendere un tempo ben definito prima di poter vedere un film sulle piattaforme.


PIERA DETASSIS
Presidente e direttrice artistica dell’Accademia del Cinema Italiano-Premi David di Donatello

1. Il suo ruolo le offre una visione privilegiata sul cinema italiano, materia che ha sempre seguito con grande cura. Oggi i tempi sono cambiati e quei film che un tempo andavano a gonfie vele oggi non funzionano più allo stesso modo. Ma dove c’è grande qualità produttiva e artistica, binomio a mio parere inscindibile, il pubblico risponde. Guardando al futuro, su quali direttrici crede che il cinema italiano debba indirizzarsi per risollevare lo sguardo e non adagiarsi sul “già saputo”?
Basti pensare che l’anno scorso sono stati caricati sulla piattaforma dei David di Donatello ben 156 film, impossibili da vedere se non per una giuria che si dedica completamente a questa attività. Produrre film serve sicuramente a scoprire nuovi talenti, ma credo siamo arrivati a un punto di non ritorno. C’è un’implosione comunicativa, i film sono evidentemente troppi per essere assorbiti dal mercato, e c’è un tipo di cinema medio, una commedia un po’ indistinta, e i film d’autore e d’esordio, che non trovano spazio e non si riesce a comunicarli. E questo crea anche un disvalore rispetto al prodotto cinematografico. Inoltre, le piattaforme hanno affinato il senso critico del pubblico: oggi si seleziona subito il film per cui rimanere a casa e il film evento da vedere sul grande schermo. Bisogna quindi saper distinguere all’origine cosa viene prodotto per la sala, che per me è la prima forma di promozione, e cosa invece può andare direttamente in piattaforma. Posso dire, però, che avendo il privilegio di vedere in anteprima film di prossima uscita, mi conforta vedere un crescente partecipazione femminile alla regia che sembra portare una grande ventata di freschezza e una nuova spinta autoriale e commerciale.

2.
Sul piano artistico è evidente che mancano grandi star italiane come è stato in passato. Ma questo non è un segreto e stiamo dicendo delle ovvietà. Meno ovvio è cosa serve per costruire uno star system italiano. I nostri talent dovrebbero provare a entrare in più produzioni internazionali di ampio respiro? Dovrebbero giocarsi maggiormente in prima persona per promuovere i propri film? Oppure alla base c’è innanzitutto una questione industriale/produttiva che non facilita la costruzione di uno star system?
Credo non ci sia più quello star system a cui ci riferivamo un tempo e che sia morto con le grandi saghe e i franchise. Oggi quando pensiamo alle star indichiamo soprattutto fenomeni come Barbenheimer. Nell’epoca dei social, dove le star si raccontano da sole, si è democratizzato il rapporto con la narrazione della celebrità. Come creare uno star system in Italia? Credo che la soluzione non sia andare all’estero e fare grandi film internazionale, ma costruire grandi attori. Oggi è la personalità che vince sullo schermo. Abbiamo bisogno di un sistema industriale che consenta la crescita di star, ma abbiamo anche bisogno che gli stessi attori abbiano voglia di essere delle star. Ho sempre notato una certa resistenza e un forte senso di colpa nell’esercitare il ruolo dell’attore, che è anche un ruolo di rappresentazione di sé. Eppure la promozione deve essere parte integrante di questo lavoro, non si può essere snob su questo aspetto. Si fatica a concepirsi una star, ma questo fa parte della professione dell’attore, non è un capriccio o un privilegio. Addirittura c’è chi sceglie il giornalista con cui parlare o non parlare, magari chiedendo di rileggere le interviste. In questo senso credo che i produttori debbano includere la promozione tra gli obblighi di un attore coinvolto in una loro produzione.
Come David teniamo talmente tanto a questo tema da aver creato il Premio David Rivelazioni Italiane – Italian Rising Stars, la cui prima edizione si terrà attorno al 18 dicembre a Firenze, dove saranno premiate 6 rivelazioni under 28. E avvieremo un programma di tre anni in cui i vincitori saranno accompagnati nel loro percorso di crescita. Ma innanzitutto serve la consapevolezza che è una professione, Sofia Loren non è nata star.

GIAMPAOLO LETTA
Vicepresidente e amministratore delegato di Medusa Film

1.
Parlando di presente, ma anche di futuro, non si può non accennare all’urgenza di un ricambio generazionale nel cinema italiano. A muovere davvero il box office nel nostro Paese sono soprattutto attori nati tra il 1960 e il 1975, con pochissimi divi sotto i 40 anni. Entrando nel concreto, come si può agevolare questo processo di ricambio generazionale in Italia? Come coltivare nuovi talenti?
È vero, i dati confermano la sua riflessione, ma mi piace guardare il bicchiere mezzo pieno. Volendo analizzare la situazione attuale, negli ultimi anni si sono affermati tanti giovani attori e attrici. Penso ai gruppi di Skam Italia e di Mare fuori: anche se dovranno confermare di essere delle star, i presupposti sono certamente ottimi. Ma penso anche a Matilda De Angelis, Miriam Leone, Benedetta Porcaroli, al cast femminile de L’amica geniale. Inoltre, nella passata stagione abbiamo avuto la consacrazione di due attori under 40 con un grande successo commerciale e mi riferisco ad Alessandro Borghi e a Luca Marinelli, ma vorrei ricordare anche Pietro Castellitto, Filippo Scotti, Eduardo Scarpetta e Marco D’amore. Abbiamo ottime possibilità per costruire un nuovo star system, che è uno degli elementi essenziali per dar vita a successi cinematografici.
Ne approfitto anche per ricollegarmi al discorso sull’incremento dei costi di produzione: l’impressione è che negli ultimi tempi ci sia un forte disallineamento tra il costo produttivo di un film e le potenzialità commerciali dello stesso al box office e negli sfruttamenti successivi. Dobbiamo sempre tenere presente le reali potenzialità di mercato di un progetto quando si valuta la parte editoriale e di budget, anche se purtroppo questo non avviene sempre.
E per quanto riguarda il tema della promozione, vorrei lanciare una proposta: al premio David di Donatello dovrebbero partecipare anche tutti quegli attori e registi che non sono candidati. Sarebbe un bel segnale di compattezza del gruppo e questo contribuirebbe anche a creare uno star system.

2.
Che il pubblico sia cambiato è un’evidenza sotto gli occhi di tutti. Sono cambiate le abitudini, ma anche la percezione del valore di un film, complice anche una bulimia di contenuti sulle piattaforme streaming. Secondo lei in che modo l’industria italiana potrebbe cavalcare queste trasformazioni? Qual è la direzione artistica e industriale da imboccare?
Diventa sempre più difficile trovare progetti che abbiamo la capacità di diventare eventi di successo in sala. La direzione artistica ed editoriale è quella di lavorare con rinnovata energia e determinazione sulle storie, avendo il coraggio di rinunciare a un progetto quando non si intravedono reali potenzialità. Per fare questo ci vuole tempo, e spesso i produttori non ne hanno. La seconda direzione industriale è la necessità di un quadro di certezze a livello di risorse, in cui rientrano il nostro sforzo produttivo, gli investimenti del mondo pay e piattaforme, ma anche una struttura normativa stabile di risorse pubbliche e private. Per poter pianificare oggi il domani, è importante avere una certezza sul futuro.


FEDERICA LUCISANO:

Amministratore delegato di Lucisano Media Group e di Italian International Film

1.
Oggi siete una delle poche grandi case di produzione di proprietà al 100% italiana, mentre la maggior parte delle altre ormai è stata acquisita da colossi internazionali. Oltre a chiederle se valuterebbe eventuali richieste di acquisizione da parte di internazionali, vorrei sapere se in questo grande passaggio di proprietà generale vede un “domani più o meno luminoso” per il cinema italiano.
Sicuramente fa piacere suscitare interesse da parte di soggetti terzi, perché significa che stai facendo un buon lavoro. Ma in questo momento storico, la vendita non rientra tra le nostre priorità. L’idea di aggregare un polo di soci che possano essere un polo attrattivo sia per i talent che per i committenti è una sfida che mi stimola molto di più. È chiaro che le società internazionali che hanno acquisito le società di produzione italiane hanno creato un nuovo sistema e sviluppato un nuovo modello più aggressivo di cinema, quindi ben venga l’arrivo delle multinazionali. Però possono rappresentare anche una minaccia per la nostra identità culturale: bisognerà vedere se ci saranno cambi di management e di strategie, e quali saranno i piani a livello di investimenti e di linee editoriali. Ma sono fiduciosa che questo sarà un meccanismo virtuoso. Auspico che si privilegi sempre più il grande schermo, perché il cinema è alla base della catena del valore del nostro prodotto. Quindi come vedo il domani per il cinema italiano? Confido nella possibilità che le società si aggreghino, anche su un singolo progetto come La stranezza, per creare progetti più ambiziosi che possano anche uscire dai confini nazionali. Il tutto alzando l’asticella della qualità da un punto di vista di investimento ma anche artistico. Magari creando storie con appeal internazionali, coinvolgendo più attori e innescando un processo di eventizzazione del cinema italiano.

2.
Negli ultimi anni abbiamo certamente fatto passi avanti tra film in costume, thriller, opere per bambini e horror, ma c’è ancora molta strada da fare e la maggior parte dei film di genere non arrivano neanche a 500mila euro. Guardando a esempi come Blumhouse, che produce con pochi milioni di euro (spesso meno di molte produzioni italiane) film horror che incassano nel mondo centinaia di milioni di dollari, sembrerebbe più un problema industriale che di connessione con il pubblico. Lei che ne pensa e come si può migliorare in futuro su questo fronte?
Concordo che è un problema innanzitutto industriale, e poi di connessione con il pubblico. Noi storicamente abbiamo prodotto cinema di genere e horror, soprattutto mio padre negli anni 60 e 70, quando avevamo un know-how che poi abbiamo un po’ perso per strada. Ma recentemente abbiamo fatto alcuni tentativi, dalla fortunata trilogia del Crimine, al meno fortunato Gli uomini d’oro a Il matrimonio mostruoso e La famiglia mostruosa che hanno mischiato più generi. È chiaro che non si riesce ancora a trovare la strada, sia da un punto di vista produttivo che artistico. Forse dovremmo prendere spunto dagli americani e l’esempio di Blumhouse è meraviglioso. Basti pensare a film low-budget come M3ganOujia e Paranormal Activity che grazie a un’idea brillante sono riusciti a viaggiare in tutto il mondo. Potremmo importare anche delle risorse umane, delle professionalità che potrebbero indicarci una strada, anche se ci sono segnali molto positivi di italiani che si sono formati e hanno lavorato all’estero come Sollima  e Andrea Di Stefano che possono essere un faro per le nuove generazioni.

MASSIMILIANO ORFEI
Amministratore delegato di Vision Distribution

1.
Da sempre lei richiama l’attenzione su tutti gli sfruttamenti di un film, specificando che la performance in sala non è l’unico parametro per valutare il successo di un’opera che magari funziona perfettamente in pay, home video, streaming, free e vendite estere. Su questo punto vorrei fare l’avvocato del diavolo e chiederle: ma un film che esce in sala non dovrebbe essere pensato innanzitutto per incidere sul grande schermo? Se viene meno il focus principale sulla sala, non si rischia di sovraffollare un mercato con film “non da grande schermo”, come purtroppo spesso accade?
È chiaro che il pensiero di costruzione di un progetto cinematografico non può prescindere dall’analisi di quanto quel progetto possa funzionare in sala. Il problema è che non esiste, salvo rare eccezioni, un film che, anche funzionando bene in sala, riesca a trovare nei ricavi della sala il proprio break even. Per questo abbiamo l’assoluta necessità che la filiera che parte dalla sala cinematografica sia quanto più integrata possibile. Quindi servono prodotti che performino bene in sala e che, al tempo stesso, siano in grado di avvicinarsi al pubblico delle piattaforme. Anche perché il modello industriale degli ultimi 20 anni, con cui faremo i conti anche nel prossimo futuro, vede sostanzialmente piattaforme e Tv come committenti di riferimento. E il finanziamento di un film avviene sostanzialmente attraverso i loro investimenti. Rai Cinema ha dietro la Rai, Medusa ha Mediaset e Vision Distribution ha Sky. Purtroppo nel post-pandemia osserviamo una preoccupante divaricazione del pubblico che va a vedere i film in sala e del pubblico che vede i film in piattaforma. Trovare una soluzione non è semplice. Dobbiamo cercare di riconnettere quanto più possibile questi due pubblici; realizzare prodotto pensato per la sala, che trovi nel grande schermo la sua massima espressione di valore, ma che al tempo stesso sia in grado di funzionare anche su piattaforma. Se non ricongiungiamo questo filo avremo grossi problemi. Nel frattempo dobbiamo resistere senza paura di investire su giovani talenti e opere seconde, perché abbiamo bisogno di svecchiare il nostro parco di talenti.

2.
Ci aiuti a individuare due trend che vede già in atto e che secondo lei porteranno a modifiche sostanziali nel modello di business delle produzioni italiane entro i prossimi due anni. 
Ormai le piattaforme hanno compreso che l’offerta di prodotto cinematografico è fondamentale per i loro servizi on demand, ma è necessario che i film usciti sul grande schermo siano di valore e siano sostenuti da importanti campagne marketing. Quindi al momento osservo il ritorno degli investimenti sul prodotto cinematografico da parte delle piattaforme.
L’altro trend che noto è una ricostruzione della nostra capacità, in termini industriali ed editoriali, di raccontare storie in grado di incontrare anche il pubblico oltreconfine. La capacità di creare valore di crescita sul nostro territorio è molto limitata, quindi l’unico luogo in cui abbiamo un gap di crescita come industria nazionale è proprio il mercato internazionale. Ma non esiste ancora un distributore italiano in grado di assumere una posizione di leadership sui mercati esteri. Oggi il nostro migliore prodotto viene commercializzato da un paio di società di distribuzione francesi che prendono solo il meglio del prodotto. Forse dovremmo creare le condizioni per stimolare la nascita di un distributore internazionale di riferimento nazionale in grado di catalizzare sul proprio catalogo il miglior prodotto nazionale e di creare un abbrivio positivo di creazione di valore che poi consenta di reperire le fonti di finanziamento dei nostri film anche e soprattutto sui mercati internazionali.


MARINA MARZOTTO

Founder e Senior Partner di Propaganda Italia

1.
Nonostante le dimensioni contenute, Propaganda è sempre stata aperta a collaborazioni con partner internazionali nello sviluppo di coproduzioni, realizzando opere piccole ma ambiziose come PioveMonicaWoken e Obliquo 616. Non crede che in futuro il cinema italiano dovrebbe sforzarsi maggiormente per siglare importanti coproduzioni internazionali in grado di imporsi con più forza ai botteghini italiani e all’estero?
Sicuramente il sistema della coproduzione permette a un piccolo produttore di trovare risorse sul mercato, quindi di poter contare su budget più consistenti e di creare cointeressenze con altri Paesi. Mediamente se un film è anche finanziato da un Paese estero troverà anche una distribuzione all’estero e il progetto si internazionalizza, spesso anche a livello di talent e di costruzione narrativa. E secondo me in questo momento in cui tutti dichiarano contrazioni di spesa, la possibilità di trovare finanziamenti su più mercati è un vantaggio non solo competitivo ma anche di riduzione del rischio essendoci più player sullo stesso progetto. Credo, quindi, che nel prossimo futuro questo sia un modello molto utile nella sua condivisione del rischio.

2.
Lei ha dichiarato più volte di voler puntare a creare una factory di talenti e ha già iniziato a muovere i primi passi in questa direzione. Perché questo processo è così strategico per la vostra società e come intende muoversi in futuro su questo fronte?
Perché crediamo che questo lavoro si basi sul talento. Per noi, quindi, l’investimento non è solo strategico ma vitale. In questo senso facciamo anche un grande lavoro nel creare una casa per i giovani talenti con cui lavoriamo e per metterli in interconnessione. Abbiamo notato, infatti, che nel cinema italiano c’è una sorta di competizione malsana che non favorisce l’interazione e la condivisione. Per questo li mettiamo insieme, condividiamo i progetti, facendo sì che uno possa anche commentare e criticare il progetto dell’altro. Anche perché noi realizziamo un’opera collettiva a cui tanti talenti partecipano e che si arricchisce di questa condivisione.

e-duesse.it (10/10/2023)