Èplausibile un futuro senza lavoro? Erik Gandini, il regista italo-svedese di Videocracy (ve lo ricordate? Era il 2009), firma il documentario After Work (presentato in anteprima al Biografilm Festival di Bologna e nelle sale dal 15 giugno) affronta proprio il tema del lavoro, oggi e in un possibile futuro in cui l’automazione e l’intelligenza artificiale saranno realtà consolidate.
Una ricerca stima che nei prossimi vent’anni molti lavori spariranno, come gli addetti al telemarketing e gli assicuratori. Nel 2033 i cassieri potrebbero essere sostituiti da macchine, così come gli autisti. Se così fosse occorre ripensare al ruolo del lavoro, che potrebbe non essere più l’elemento centrale della nostra vita. Che società sarebbe? Esisterebbe un salario minimo universale? Elon Musk si domanda: «Se le persone non trovano modo di sentirsi utili come faranno?».
«Facciamo fatica a immaginarci alternativa al lavoro perché il lavoro è insito in noi, è come l’aria», afferma Gandini, «l’idea di After Work è nata dalla necessità di parlare di lavoro come qualcosa da cui facciamo fatica ad allontanarci. Ho cercato esperienze di vita vera per raccontare ciò che sta accadendo e quello che potrebbe accadere».
Il regista ci conduce in Corea del Sud, dove si muore per eccesso di lavoro: l’ultima direttiva del governo garantisce che i computer vengano spenti automaticamente alle 18 in tutti gli uffici, inoltre le campagne pubblicitarie puntano sul “diritto al riposo”. Negli Stati Uniti il 55% degli americani hanno dichiarato di non sfruttare i giorni di ferie nel corso dell’anno (e sono pochissimi rispetto ai nostri), mentre in Kuwait accade il contrario: secondo l’OMS è il Paese più fisicamente inattivo del mondo, anche se tutti hanno un impiego e sono ben retribuiti (grazie alla presenza del petrolio). C’è anche l’Italia tra i super-ricchi che non lavorano e i cosiddetti NEET (Neither in Employment, Education or Training), il più largo gruppo di nullafacenti in Europa di età compresa tra i 20 e i 34 anni.
«Grazie alla tecnologia dobbiamo ridefinire che cosa significa “darsi da fare”», spiega Erik Gandini, «la svolta del Kuwait è la più inquietante, lì ci sono persone depresse e frustriate perché non comprendono quale sia il senso della vita. L’etica del lavoro è vecchia di 350 anni ed era un’idea perfetta, ora questa idea è incompatibile col presente e il futuro». Per molte categorie il lavoro è una forma di «schiavismo modernizzato»: nel film c’è l’esempio di un’autista di Amazon che in auto viene controllata da cinque telecamere.
«Forse la risposta è nelle parole dello studioso Kevin Kelly», dice il regista: «Le macchine sono per rispondere, gli esseri umani per domandare».
Emanuele Bigi, vanityfair.it (13/06/2023)