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Pier Paolo Pasolini: “La Macchinazione”, film di David Grieco, chiede la verità sulla morte del poeta

Il 2 novembre del 1975 è una data che sono in molti a ricordare, ma che all’epoca, e purtroppo ancora oggi, sono stati e sono in pochi a comprendere. Quella notte morì uno dei più grandi intellettuali italiani, Pier Paolo Pasolini, barbaramente ucciso all’Idroscalo di Ostia, e quella morte resta un mistero nonostante siano trascorsi quarant’anni. La sua morte – a tutti gli effetti uno dei tanti segreti italiani – fu un caso che all’epoca, poco dopo l’accaduto, venne chiuso perché ritenuto “uno dei tanti incidenti, una manifestazione di violenza nell’ambiente omosessuale”, come disse il poeta Nico Naldini, cugino di P.P.P., “perché così muoiono gli omosessuali”.

Stando infatti ai primi atti del processo, ad ucciderlo fu l’allora diciassettenne Giuseppe (Pino) Pelosi, un ragazzo di vita abbordato dal poeta nella zona della stazione Termini, a Roma. Ma come fece un ragazzino alto poco più di un metro e settanta, “soprannominato Pino la Rana, mica Pino il Gorilla, Pino Katanga, o Pino er Mastino” – come ha fatto notare Carlo Lucarelli nel suo libro – e che pesava solo sessanta chili ad ammazzarlo da solo? Davvero strano che uno come Pasolini – che i suoi cinquantatré anni se li portava molto bene (era muscoloso, in forma e allenato dalle partite a calcio e anche da un certo interesse per le arti marziali) – non ebbe la meglio su di lui. Difficile da credere che un uomo abituato a difendersi tutti i giorni – molte delle presentazioni dei suoi libri e dei suoi film finivano spesso in risse provocate dai suoi denigratori – non seppe difendersi dal suo esile killer. Eppure andò così. O, almeno, così ci hanno fatto credere.

Se a questo, poi, aggiungiamo il ritrovamento del suo corpo martoriato da colpi contundenti e di un assassino non sporco di sangue, il caso si infittisce e va a complicarsi ancora di più di fronte a domande che ad oggi non hanno trovato risposta. Di chi erano il plantare destro e la maglia verde ritrovati nella sua auto, la mitica Giulietta color verde oliva, dato che non appartenevano né a lui né al suo omicida? Per quale motivo molti testimoni oculari non vennero ascoltati e di chi erano le tante tracce di pneumatici presenti sul luogo del delitto? E molte altre ancora.

“Quello di Pasolini rimane un omicidio dalla dinamica non chiara e dai molti interrogativi irrisolti”, ha spiegato all’HuffPost David Grieco, giornalista e regista, che racconta tutto questo e molto altro ancora ne La macchinazione, il suo nuovo film in uscita nelle sale il prossimo 24 marzo per Microcinema. Il regista, già autore dell’omonimo libro pubblicato da Rizzoli, è uno dei firmatari della petizione lanciata su change.org dall’avvocato Stefano Maccioni, legale del cugino di Pasolini, affinché il Parlamento approvi la proposta di legge presentata dai deputati Paolo Bolognesi (Pd) e Serena Pellegrino (SI) che istituisce una Commissione d’inchiesta monocamerale sull’omicidio del poeta e regista.

“Il caso non è chiuso” – ha precisato Bolognesi alla proiezione privata del film di Grieco, organizzata alla Camera dei Deputati – “a quarant’anni da quella tragica morte, i nuovi indizi emersi su una diversa dinamica e un possibile movente, anche successivamente all’archiviazione, sono numerosi. Occorre solo una semplice azione: indagare. Un compito che il Parlamento ha il dovere di svolgere perché il principio di verità e giustizia su quella morte è un diritto da garantire senza prescrizione e sono in molti a richiederlo”.

Ad oggi, infatti, sono state raccolte più di undicimila firme, tra petizione on line e le cartoline prestampate che i cittadini potranno inviare al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, al presidente del Consiglio Matteo Renzi e alla presidente della Camera Boldrini perché il Parlamento indaghi. Una proposta di inchiesta parlamentare è necessaria per analizzare la dinamica del delitto, per esaminare e valutare le possibili connessioni tra l’omicidio di P.P.P. e quelli di Enrico Mattei e di Mauro De Mauro nonché con l’operato della loggia massonica ‘Propaganda 2’ facente capo a Licio Gelli e dei suoi iscritti o con altre organizzazioni criminali, ma soprattutto – come recita l’articolo 1 della proposta – “per analizzare le modalità di azione delle amministrazioni dello Stato in relazione al delitto al fine di valutarne, in particolare, la competenza e l’attendibilità”.

“Tutto potrà servire per fare chiarezza su una storia che in un modo più grottesco non ci potevano raccontare”, ha aggiunto Grieco che nel suo film – prodotto da un’ imprenditrice “coraggiosa e pazzoide” (come l’ha definita lui), Marina Marzotto e dalla sua Propaganda Italia, interpretato da un Massimo Ranieri perfetto nel ruolo di Pasolini e impreziosito dalle musiche dei Pink Floyd- è riuscito a darci una versione cinematografica sulla vicenda diversa e più vicina alla realtà dei fatti rispetto a tutte le altre realizzate fin’ora. Nel corso della sua personale indagine sulle trame della corruzione politica, Pasolini ebbe modo di imbattersi in Giorgio Steimetz, uno strano personaggio dal nome di fantasia, che scrisse un libro di denuncia contro Eugenio Cefis, “autore di stragismo italiano”, come lo definì in P.P.P. in Petrolio, la sua opera postuma, dove ne parla usando lo pseudonimo Troya. Il libro, intitolato Questo è Cefis, scomparve dalla circolazione a quarantotto ore dalla sua uscita, l’autore venne costantemente pedinato dai servizi segreti, ma Pasolini non ebbe modo di sapere che quegli incontri con Steimetz erano puntualmente osservati e registrati da spie molto ben organizzate.

“Una notte, presso gli stabilimenti romani della Technicolor, il negativo di Salò o le 120 Giornate di Sodoma venne portato via da una banda di ladri”, ci racconta Grieco. “I ladri erano degli amici di Pelosi, ma la mente di quella rapina era un pezzo grosso della malavita organizzata. Vennero richiesti due miliardi di lire, ma poco dopo, scesero scendere a una proposta più bassa, convincendolo a farsi trovare all’Idroscalo nella notte fra il primo e il due novembre”. “Quell’appuntamento – ha aggiunto – era una trappola: il suo assassinio venne pianificato nei minimi particolari da tanti complici volontari e involontari, tutti uguali e tutti ugualmente colpevoli”.

Questo è dimostrabile, come ci spiega Grieco e come è scritto nella proposta di inchiesta, da quando, nel 2009, dopo che l’avvocato Maccioni presentò alla procura della Repubblica di Roma un’istanza di riapertura delle indagini, l’esame del DNA sui reperti del delitto confermò la presenza di altre persone sulla scena del crimine. “Alcune di queste persone sono ancora in libertà e lo stesso Antonio Pinna (nel film è interpretato da Libero De Rienzo), di cui non si hanno più notizie, dicono che sia più vivo di me e che abiti fuori dall’Italia”, tiene a precisare il regista, che ha dedicato il film al suo caro amico e collega Sergio Citti, “il primo a fare una ricostruzione importante e diversa del caso”. “Ci sono mole contraddizioni tra quello che dichiarò la polizia e quello che dichiararono i carabinieri in merito a quella notte, compresa la magistratura. In proposito, vorrei incontrare il magistrato Ferdinando Zucconi Galli Fonseca e chiedergli cosa ne pensa dopo quarant’anni”, C’è addirittura un testimone che non è stato mai ascoltato, Misha Bessendorf – la cui testimonianza è stata raccolta in un articolo pubblicato dal Corriere della Sera – un uomo di origini russe che non vive più da tempo ad Ostia (oggi vive ed insegna matematica a New York, dove si è laureato poco dopo il suo trasferimento negli Stati Uniti, nel 1980 alla Brown University) che allora aveva 25 anni e che vide dalla finestra del suo bagno quanto stava accadendo.

“La finestra nella mia stanza era parzialmente aperta. Ho sentito un rumore forte e allora ho guardato fuori. Ho visto parecchie persone, credo tre o quattro, sui trent’anni, vicino a una piccola macchina. Un uomo era steso per terra. Allora sono corso giù per le scale e nel giro di pochi minuti il posto era pieno di gente e di carabinieri. Uno dei carabinieri mi ha preso il nome e ha trascritto quanto avevo visto. E poi? Non sono stato più sentito da quel carabiniere una seconda volta”. (dalla testimonianza di Misha Bessendorf, la cui voce è la prima di un testimone che asserisce di aver visto la scena del delitto Pasolini).

“Quello che fa impressione è stata la sfacciataggine dei Governi e delle Istituzioni del Paese di fronte a questo caso”, dice Grieco. “Ho comunque fiducia nel Parlamento e in Matteo Renzi, che era piccolissimo quando Pasolini vene ucciso e che non dovrebbe avere ancora questo peso sulle spalle. Non sono un grande sostenitore di Renzi, ma spero che riesca a spostare qualcosa in tal senso. Per avere la verità, conclude, si devono fare dei sacrifici. Il problema, da non sottovalutare, è che se si arriva alla verità su Pasolini, si può arrivare alla verità su tante altre cose che non farà piacere a molti”. Staremo a vedere cosa accadrà. Siamo molto fiduciosi anche noi.

Giuseppe Fantasia, huffingtonpost.com (02.03.2016)